Il nuovo stabilimento Barilla di Rubbiano (40 milioni di investimento, 120 addetti) per la produzione di sughi pronti è la dimostrazione che la crisi si può combattere con l’impegno e la professionalità. Lo stabilimento nel Parmense sfornerà un prodotto made in Italy, in buona parte proveniente dalle province di Parma, Reggio Emilia e Modena. Nessuna delocalizzazione, o acquisto di materie prime cinesi di dubbia qualità, per una multinazionale dell’alimentare che rappresenta un emblema di come dovrebbero essere gli imprenditori italiani.
Barilla, come numerose altre grandi aziende italiane, non è quotata: nessuna "ansia da trimestrale", nessuno scandalo finanziario nella sua storia, assenza di quel "capitalismo manageriale" che sta finanziarizzando l’economia a discapito della qualità delle produzioni. Barilla è un ottimo esempio (come Ferrero, Armani e molti altri) di quel "capitalismo familiare" che opera correttamente sui mercati, investe e fa utili, ma rispettando l’ambiente, il Paese in cui opera, il personale dipendente, i fornitori.
Ma non solo: il caso Barilla sottolinea quanto sia importante per un Paese capire quale sia la sua peculiarità, il suo dna produttivo, e investire in quello. Abbiamo eccellenze nell’alimentare, nella moda, nell’arredamento; siamo il Paese con più opere artistiche e con un paesaggio stupendo, che potrebbe essere messo a frutto con il turismo. Invece distruggiamo territorio con l’edilizia (togliendo spazio all’agricoltura), mentre paesi quali la Germania attuano interventi di recupero urbano piuttosto che nuove costruzioni. E continuiamo a investire somme immense in settori quali la siderurgia, finanziando cattedrali nel deserto che difficilmente saranno in utile.