E stata presentata alcuni giorni fa la piattaforma google.it/madeinitaly, dedicata a promuovere il Made in Italy. Le imprese artigianali e agroalimentari avranno a disposizione una vetrina dove presentare i propri prodotti, a costo zero. Infatti, ha dichiarato Carlo D’Asaro Biondo, presidente di BigG per i Paesi Emea, la piattaforma “È a costo zero per le imprese. Che però potranno poi usare i nostri servizi per farsi conoscere nel mondo”. Un’iniziativa “pensata e realizzata appositamente per l’Italia, che ci auguriamo possa contribuire ad aumentare la capacità delle imprese italiane di fare export e promuovere ulteriormente la cultura del Made in Italy nel mondo”, realizzata dal Google Cultural Institute e che presenta ad oggi 103 eccellenze italiane.
Nonostante i numerosi enti e strutture pubblici preposti a tale scopo, è un’azienda privata a realizzare la più significativa area virtuale dedicata alle eccellenze del Made in Italy. Un’iniziativa dove gli enti italiani (dal ministero dell’Agricoltura alla Fondazione Symbola e Unioncamere) hanno un ruolo secondario, mentre Google si appropria di un’area di grande interesse economico: i budget di comunicazione delle migliaia di imprese che producono il sempre più richiesto “Made in Italy”. E il colosso dei motori di ricerca conosce bene i numeri di questo interesse a livello internazionale.
Anche in questo caso, l’Italia (o, meglio, i suoi amministratori di ogni ordine e grado) hanno dimostrato di essere incapaci di “fare sistema” e di elaborare una proposta concreta da proporre alle imprese nazionali, che ora guardano con interesse oltreconfine.
Le Camere di Commercio all’estero, il Ministero degli Esteri, l’Ice (ora Ace), le centinaia di Consorzi di tutela hanno perso l’ennesima occasione di dimostrare al Paese il loro ruolo e la loro utilità.