Emergenza sì, emergenza no. Sembra il titolo di una canzone Rap ma non lo è. Si tratta invece della posizione dei cosiddetti scienziati che dovrebbero darci dei lumi sul piano del comportamento in relazione alla Pandemia in corso.
Il Paese non ha nessuna colpa se alcune norme vengono rispettate e talune no, in quanto la stessa posizione dei cosiddetti scienziati non è univoca e tra l’altro la loro risposta è ormai costante: dinnanzi a nuove realtà non è possibile essere puntuali e precisi.
Nessuno ha mai preteso dinnanzi a processi e situazioni innovative delle risposte immediate. La pretesa è un’altra (o una mera illusione), ossia di avere un interlocutore preparato, serio e qualificato nel fare delle diagnosi. Mettere in discussione che il medico non ha più questo ruolo e prenderne atto significa creare un vulnus quasi irreversibile nella fiducia nei confronti di quest’ultimo.
La comunicazione sarebbe dovuta partire, innanzitutto, da una fonte ben precisa la quale poteva essere solo ed esclusivamente, ad esempio, l’Istituto Superiore di Sanità, con bollettini non quotidiani ma settimanali. Invece si è assistito al proliferare di talk show, serate di arte varia, spettacoli di ogni tipo, i quali hanno sempre focalizzato l’attenzione sul Covid, creando non sempre una comunicazione di facile percezione.
Abbiamo visto medici sconosciuti del nostro territorio diventare delle star, inducendo le persone benpensanti, serene non schierate politicamente a seguire il pensiero di A, il pensiero di B, ecc., arrivando il più delle volte a conclusioni che nulla hanno a che fare con scienza.
Per completare l’opera abbiamo una proroga dello stato di emergenza, condivisibile o meno, immediatamente legata al ruolo del presidente Mario Draghi, vincolato ora al suo ruolo e quindi non candidabile per Presidente della Repubblica. In un tale quadro sarebbe auspicabile porsi nelle condizioni di poter misurare la differenza tra comunicazione erogata e comunicazione percepita.