La struttura sociale si sta evolvendo "svuotando" la classe media, per effetto della standardizzazione di molti lavori impiegatizi, su cui si sta abbattendo la scure dei "tagli" per recuperare produttività: centralini,, servizi di traduzione ed altri impieghi di media e bassa professionalità sono esternalizzati ed affidati ad imprese che delocalizzano oppure gestiscono il personale con contratti a basso costo.
Inoltre il commercio, che specialmente in Italia è stato uno dei settori di riferimento per la classe media, si sta trasformando per effetto delle grandi catene commerciali: i supermercati hanno decimato i negozi di vicinato, e ora sono in sofferenza i settori dell’abbigliamento e dell’arredamento, che mostrano minore appeal rispetto a catene quali Zara, H&M, Ikea. Brand il cui successo è dovuto all’eccellente rapporto qualità/prezzo, ma che si caratterizzano soprattutto per i prezzi medio-bassi. Ne consegue che ai proprietari di negozi, con una loro autonomia economica, si sostituiscono commessi a contratto: è vero che la quantità di occupazione rimane quasi inalterata, ma sono ben diversi i guadagni, in quanto l’utile va alla catena, e agli addetti spetta solo un modesto stipendio.
Infine, si amplia la forbice degli stipendi tra impiegati e top management. J.P. Morgan lamentava le eccessive paghe dei grandi manager negli anni ‘20, indicando quale ricetta per l’equilibrio sociale un rapporto 1:20. Oggi esso è diventato 1:100 e oltre.
La scomparsa della classe media, di cui solo una minima parte accede ad una ristretta élite di ricchi e super-ricchi, è la causa principale della contrazione della domanda interna. 1.200 euro al mese bastano solo per i beni essenziali, mentre la crescita economica richiede una vasta platea di consumatori con maggiore potere di acquisto.