Smart working. Smart life.

Dall’autonomia e flessibilità all’efficacia dei risultati, passando per una riappropriazione responsabile della qualità della vita professionale e personale. Tutto questo è possibile e lo dimostrano i dati aggregati raccolti sul campo nelle esperienze aziendali delle imprese (soprattutto di medio-grandi dimensioni) che hanno puntato su questa rivoluzione copernicana nell’organizzazione del lavoro.

 “Smart Working – Smart Life” è il titolo del convegno organizzato da ACC Europe e FDL Studio Legale e Tributario, tenutosi mercoledì 20 giugno a Milano nello splendido e prestigioso contesto di Palazzo Borromeosede dello studio FDL.

L’incontro, moderato da Maurizio Melis, Smart City Radio 24, con l’ intervento del responsabile degli Osservatori di Smart Working e HR innovation Fiorella Crespi – del Politecnico di Milano – , si è svolto alla presenza di un autorevole panel di relatori cui ha fatto seguito un interessante dibattito, vivacizzato dagli interventi dei presenti, primari professionisti di varia estrazione, tutti proiettati verso il sistema inclusivo di questo rivoluzionario modulo lavorativo, che costituisce “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Non è un caso l’accostamento dell’aggettivo “smart” al binomio working-life. Nel momento in cui il focus si sposta dal tempo al raggiungimento dell’obiettivo, si relativizza il concetto di lavoro tradizionale e si giunge a un approccio nuovo del proprio tempo, fatto di qualità, maggiore rendimento e di spazi personali riempiti solamente dall’autoresponsabilità.

Dopo il saluto del managing partner di FDL Giuseppe Cattani, studio che ha fatto gli onori di casa, si sono confrontati sul tema Antonella De Marchi di Intesa Sanpaolo, Vanessa Giusti di Cisco, Federico Ciotola di Borsa Italiana, Claudio Schieppati di BNPP Cardif, Paolo Poddi di Copernico, Massimo Waschke dello studio FDL e Mauro Tomé, consulente di Sviluppo Organizzativo e Ricercatore, che ha analizzato l’impatto psicosociale della trasformazione indotta dallo Smart Working.

«Non importa dove sei ma cosa fai e quali risultati raggiungi» ha sottolineato Giusti di Cisco, aggiungendo che, benché sembri quasi uno slogan, non lo è perché «è il nostro reale modo di operare» e, sin dalla nascita, negli Stati Uniti l’Azienda ha adottato pratiche di flexible woking. Attualmente Cisco è totalmente smart, dimostrando come un sistema virtualizzato possa conciliarsi con la totale interazione degli skills anche a migliaia di chilometri di distanza, perché non necessariamente chi fa tardi in ufficio è più bravo o produttivo degli altri.

Intesa Sanpaolo ha introdotto lo smart working dal 2015 con la finalità di migliorare l’incontro tra esigenze del lavoratore e delll’azienda. Così, conclude De Marchi, nuove forme di coinvolgimento basate sulla fiducia e sulla responsabilità hanno favorito anche l’evoluzione del ruolo dei manager, chiamati a gestire il gruppo con una logica di virtual team, arrivando oggi a coinvolgere – con risultati incoraggianti (aumento di produttività e riduzione del 24% dell’assenteismo) – circa 10.000 (su 70.000) dipendenti del grande gruppo bancario italiano. E infatti, Sabrina Costanzo, ACC Country Representative per l’Italia e Senior Attorney Luxottica, spiega che «General Counsel e uffici legali aziendali non possono esimersi dal valutare il cambio di prospettiva manageriale che lo smart working comporta». «Un trend virtuoso ormai diffuso tra le grandi aziende» aggiunge Ciotola, che merita seguito nel contesto di una valorizzazione degli strumenti di welfare aziendale. 

Lo smart working può prendere le mosse anche da una necessità contingente: così è avvenuto per BNPP Cardif. Come ha ricordato Schieppati, l’avvio di un nuovo progetto «ci avrebbe portato a cambiare la nostra sede e a separare per la prima volta la nostra azienda, un cambiamento che avrebbe visto molti colleghi lavorare a distanza per la prima volta dalla nascita della Compagnia».  

Vantaggi indiscussi. Per Vanessa Giusti è una gestione della propria vita professionale in sintonia con i propri ritmi e le proprie esigenze, «senza dover dimostrare che si è vincenti solo quando si rimane in ufficio fino a tardi» e si arriva a gestire in modo migliorativo i propri carichi di lavoro rispetto agli impegni della vita privata, con una naturale responsabilizzazione del lavoratore.

Dal punto di vista del datore vi sono indiscusse ricadute positive. Per Massimo Waschke «le aziende ed i manager sono alla costante ricerca di sistemi di incentivazione per i lavoratori quali bonus, premi di risultato e di produzione, stock option, ecc..». In questa prospettiva «lo smart working è uno strumento di welfare utilizzabile dal datore come incentivo a costo zero. Anzi, spesso costituisce un notevole risparmio economico»; pertanto, al di là degli accorgimenti del caso (legati alla necessità di tutela dei dati – si pensi all’utilizzo dei pc con dati aziendali in un luogo pubblico, come un parco,  oppure alla tutela dei diritti del lavoratore – come il telecontrollo – oppure situazioni imprevedibili, es. la disciplina dell’infortunio in itinere), può ritenersi senz’altro che la nozione di tempo del lavoro e della vita venga totalmente rivalutato. Tutto questo (Ciotola) ingenera un ciclo virtuoso che tende a un miglioramento della produttività, al coinvolgimento delle persone e nella possibilità di conciliare tempi di vita con quelli di lavoro, e, soprattutto, si assiste a una riduzione di fatto dell’assenteismo a fronte di un aumento di produttività. Si passa, in breve, verso una logica sempre meno gerarchica e più orientata alla valorizzazione delle potenzialità delle proprie risorse in un clima che, migliorato, consente «liberazione di energie», precisa De Marchi.

Se dal punto di vista organizzativo i vantaggi sono pressoché totali, tanto che  (Schieppati) si è arrivati al punto di dover frenare l’impeto di alcuni manager che – dapprima diffidenti e con una serie di ritrosie a concedere ai propri collaboratori la possibilità del lavoro a distanza – oggi spingono a valutare la possibilità di estendere su più giorni alla settimana questa possibilità», sul piano psicosociale, ricorda Tomé, lo smart working implica radicali mutamenti: «uno senz’altro riguarda il tema della socializzazione e dell’appartenenza, ossia dei luoghi dove creare socializzazione: diminuisce quello lavorativo, aumenta quello soggettivo». «Un altro è l’individualizzazione, aumentano le competenze e skill di self empowerment». E, non da meno, precisa lo psicologo, cambiando l’ambiente lavorativo si modifica «il rapporto con il proprio ambiente familiare e di vita».

La testimonianza di Paolo Poddi dà il senso e il segno del fenomeno: Copernico, che opera in progetti sperimentali di community, ha consolidato il suo ruolo di «abilitatore di spazi». A Milano in 16.000 mq operano 160 aziende, anche medio-grandi, che hanno dimostrato come non essere legati da spazio fisico possa configurarsi come valore aggiunto in termini di incremento di produttività e risparmio di costi, perché «vivere bene» fa «lavorare meglio». E non è un caso che si siano create delle aree lounge. Inoltre, la possibilità di dedicare maggiore tempo, in termini qualitativi, all’incontro con altre esperienze lavorative consente di crescere in modo esponenziale. E’ come la carpa: «lasciata in una boccia d’acqua rimane un piccolo pesciolino rosso, ma, inserita in uno stagno, cresce e diventa molto grande».

L’Osservatorio sullo smart working è prodigo di dati incoraggianti: i progetti si stanno diffondendo progressivamente nelle grande aziende private, ma molto meno nelle PMI. Fanalino di coda la Pubblica Amministrazione. Nonostante la legge (22.5.2017 n. 81) approvata un anno fa (che fa riferimento alla nozione – poco icastica – di «lavoratore agile») e la circolare Madia.

C’è ancora molta strada da percorrere con un trend in costante crescita (anche se i dati parlano di giovani poco inclini a lavorare in smart – probabilmente perché maggiormente tesi a sviluppare relazioni nel mondo lavorativo in cui si affacciano – ), che prelude a una accelerazione proporzionalmente ingrediente nel corso del 2018, destinata a rivoluzionare i tradizionali metodi lavorativi, incentrata sempre più sulla persona e sulla valorizzazione del benessere inclusivo del singolo inserito nel gruppo.

E’ così che si cresce, riappropriandosi di sé. L’alienazione – si spera – va in soffitta.

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