Bitcoin, a proposito di potenza di calcolo e dispendio energetico: 2 casi su cui è bene essere informati

L’attenzione in questo periodo in cui si va a parlare molto di Bitcoin, va su due casistiche che mettono allerta sulla corretta diffusione di un modello tanto virtuoso, vedi la blockchain, quanto pieno di complessità. Ve l’avranno già detto ma per favorire il proliferare delle criptomonete serve molta potenza di calcolo e di conseguenza molta energia.

Se si dovessero concentrare fin troppo questi centri di calcolo, questi potrebbero risucchiare le risorse energetiche di un Paese. Questo è ciò che sta succedendo in Islanda, una nazione che si alimenta in grande parte di risorse energetiche rinnovabili e che a causa dei Bitcoin rischia di restare al buio. Il problema è proprio il consumo di energia per produrre criptovalute. Considerando questi supercomputer, con tutta l’energia necessaria ad alimentarli, oltre all’energia che serve per raffreddare queste CPU messe sotto sforzo, diventano una criticità. Considerando la produzione intensiva di criptovalute di questi tempi, potete immaginare quale sia ingerenza in termini di dispendio energetico.

L’emergenza in Islanda è stata esplicitata dall’azienda del comparto energetico HS Orka. Troppe sono le maxi installazioni di computer dedicati ai processi di mining dei bitcoin che vengono realizzati in Islanda, il consumo dei super-computer per il mining si stima che possa raggiungere gli 840 gigawatt-ora, un consumo enorme se si pensa che ad oggi il consumo islandese, considerando che attualmente la necessità energetica delle famiglie è di 700 gigawatt-ora. L’Islanda a livello energetico si troverebbe così sottoportata. L’allerta è forte e si invita le aziende a moderare la “coltura intensiva” di bitcoin perché diventerebbe un problema se troppe aziende decidessero di installare computer troppo dispendiosi per la produzione di criptovalute.

I bitcoin abbiamo detto che sono fatti di calcoli, quindi di bit e di operazioni matematiche. In particolare per il “mining”, ovvero la fase in cui vengono eseguite tantissimi di questi calcoli per verificare che le transazioni avvengano in modo lecito. Su questo processo è sempre più diffuso il fenomeno “miner”, costituito da coloro che mettono a disposizione le capacità di calcolo dei loro computer, per eseguire queste operazioni matematiche, ricevendo in cambio a verifica avvenuta, dei bitcoin in modo gratuito. Proprio a proposito di miner di criptovalute in rete si sta diffondendo un fenomeno piuttosto complesso legato alle minacce alla sicurezza in rete: molti di questi miner, infatti, vengono camuffati all’interno dei siti web e si agganciano alla CPU dei visitatori rubando potenza di calcolo per generare criptovalute. Navigando in questi siti malevoli, ci troviamo ad essere dei miner a nostra insaputa, senza ricevere nessuna ricompensa, se non un ingente rallentamento sul nostro device.

La scoperta di questa pratica fraudolenta l’ha fatta Willem de Groot, individuando ben 2496 siti web che ospitano questi criptominer. Facilmente attechibili in siti web con software obsoleti e quindi inadeguati a livello di sicurezza.

Dietro al fenomeno miner, quindi, si stanno sviluppando sempre più delle politiche sbagliate o delle vere e proprie propensioni malevole atte ad infettare i computer altrui.

Due casistiche critiche che, quindi, si legano tra loro per dispendio di energia e dispendio di calcolo, oltre che per il conseguente furto di capacità di calcolo dei nostri computer. Fa riflettere constatare che dietro ad ogni modello prolifico si nascondino poi delle cattive condotte che fanno leva sulle vulnerabilità di un sistema. Ora vanno messe in evidenza le conseguenze di queste modalità illecite e eticamente fuori condotta, se non altro per combatterle sul nascere e preservare ciò che di utile c’è in un modello che potrebbe caratterizzare un nuovo progresso per diversi mercati finanziari, e non solo, di domani.

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