Negoziazione legislativa, trasparenza e partecipazione. Il procedimento di decisione parlamentare subisce continue influenze esterne dovute da un lato dalle determinazioni dei partiti e dei suoi mutevoli leader e dall’altro dalle azioni di pressione di soggetti spesso indefiniti, le Lobby.
L’influenza sulle divisioni parlamentari da parte di interessi organizzativi estranei alla dinamica della rappresentanza politica rappresenta un fenomeno tipico dei sistemi liberal-democratici, ed appare essere strettamente legato allo sviluppo della democrazia stessa.
L’opinione pubblica, nell’ era digitale, chiede in maniera insistente trasparenza dei processi direzionali al fine di garantire l’interesse generale anche attraverso un giusto confronto con gli interessi particolari, sempre più rappresentati dai gruppi di pressione o lobby. Nel nostro Paese, l’argomento si coniuga con la crisi dei grandi partiti che per molti anni hanno svolto un compito di mediazione democratica degli interessi economici, sociali e culturali.
Anche a livello europeo è stato varato un accordo tra Parlamento e Commissione europea per mezzo del quale si è istituito un Registro per la trasparenza per le organizzazioni, le persone giuridiche e i lavoratori autonomi impegnati nella politica dell’Unione. Tuttavia, sul territorio europeo ci sono politiche differenti: solo la Francia, la Germania, dove il Bundestag è stato il primo parlamento a presentare disposizioni specifiche per regolare i rapporti internazionali con i gruppi di interesse di pressione, e Il Regno Unito hanno un registro obbligatorio. L’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) aveva individuato alcuni elementi per una regolamentazione efficace del sistema lobby individuando i requisiti di trasparenza, definizione dei trend di comportamento, procedure differite, promozioni di una giusta cultura indirizzando la linea da seguire in ambito europeo, invero il Consiglio ha poi affrontato la disciplina delle lobby nell’ambito della lotta alla corruzione nei Paesi membri.
In Italia, ci sono stati dei tentativi sin dalla VIII legislatura; esame più volte servito ma mai giunto a compimento. Inoltre, data l’autonomia decisionale delle istituzioni, non tutte hanno provveduto a organizzare la materia con misure o provvedimenti. Molto peculiare è, ad esempio, il caso del Senato della Repubblica, che non si è dotato di alcun regolamento sulla rappresentanza di interessi, al contrario della Camera dei deputati. Inoltre, ci sono differenze anche a livello regionale. Quindi occorre al più presto armonizzare e uniformare il quadro regolatorio presente nei diversi livelli, così da facilitare e chiarificare il perimetro e far sì che i portatori d’interesse possano fare riferimento a un quadro di regole unico, organico, chiaro e trasparente.
Spostandoci oltreoceano, negli Stati Uniti d’America, il fenomeno del lobbying costituisce un aspetto strutturale dell’organizzazione del sistema della rappresentanza politica. Una prima organica disciplina è stata introdotta nel 1946 con il Federal Regulation of Lobbying Act con la finalità di assicurare la trasparenza del fenomeno e a porre sanzioni sui comportamenti illegittimi, ovverosia quelli che oltrepassano i limiti del “right to petition” garantito dalla Costituzione federale. Successivamente nel 1995 è stato approvato il Lobbying Disclosure Act, volto a rafforzare la responsabilità alle pratiche di lobbismo federale negli USA e nel 2007 l’Honest Leadership and Open Government Act.