Un aiuto al Presidente: spigolature giuridiche sul "caso Savona"

Un aiuto al Presidente: spigolature giuridiche sul «caso Savona»

 

Prof. Avv. Stefano Tarullo

Docente di diritto amministrativo all’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli

 

Premetto che insegno diritto amministrativo e non diritto costituzionale. Da giuspubblicista ed amante della nostra mirabile Costituzione, però, il recente ed ampiamente dibattuto «caso Savona» ha attirato la mia attenzione, sollecitandomi ad alcuni approfondimenti sul piano – tengo a precisarlo a scanso di ogni equivoco – strettamente e rigorosamente giuridico.

Il Presidente della Repubblica ha testualmente dichiarato, nel suo discorso immediatamente susseguente allo scioglimento negativo della riserva da parte del Prof. Giuseppe Conte (27 maggio 2018), che si sarebbe assunto la «responsabilità istituzionale» della nomina del Prof. Savona, ove questa fosse stata da lui approvata con la firma del relativo decreto. Non volendo caricarsi di tale «responsabilità», il Presidente – in base a motivazioni sulle quali non voglio minimamente entrare – si è risolto nel senso di opporre un rifiuto a tale firma. Questo tipo di approccio solleva più di una perplessità, come si cercherà di spiegare in prosieguo.

A mio avviso un corretto inquadramento della vicenda non può prescindere dal disposto dell’art. 89 co. 1 Cost., secondo il quale «Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità». Ebbene, a me pare che nel caso Savona la responsabilità («istituzionale», nelle parole del Presidente, ma tecnicamente meglio definibile come «politica») della nomina avrebbe gravato solo ed esclusivamente sul Presidente del Consiglio dei ministri proponente (e controfirmante), che se la sarebbe assunta (politicamente) in Parlamento, ottenendo o meno la fiducia (art. 94); ciò in quanto il Premier, e non il Capo dello Stato, è responsabile della linea politica dell’Esecutivo (il termine «responsabile» è non casualmente impiegato dall’art. 95 co. 1 , prima parte, Cost.).

In questa cornice, la «moral suasion» presidenziale è da reputarsi legittima anche quando sia in ballo la nomina di un ministro, ma ho seri dubbi che in caso di frontale contrapposizione tra forze politiche di maggioranza e Capo dello Stato questi possa rifiutare una designazione condivisa e formalmente presentata dal candidato Premier: la proposta in tal senso (art. 92 co. 2 Cost.) è patente espressione di indirizzo politico (che non spetta al Presidente della Repubblica) ed assume perciò carattere vincolante, ove si presenti prima facie sorretta da una copertura parlamentare maggioritaria.

Prevengo a questo punto tre obiezioni e, nel farlo, cerco di argomentare meglio il mio convincimento.

La prima: il Presidente del Consiglio incaricato non è un «ministro proponente». In realtà egli è a tutti gli effetti un ministro (“Primo ministro”, comunemente si dice), in quanto «primus inter pares» tra i ministri. È bensì vero che tecnicamente il Prof. Conte era solo un Premier incaricato (e non in carica), ma questo denota viepiù la totale irritualità della procedura seguita nella vicenda qui analizzata: il Prof. Conte avrebbe dovuto prima ottenere la nomina a Presidente del Consiglio dei ministri e solo dopo presentare la lista dei ministri da sottoporre all’approvazione del Capo dello Stato (o alla bocciatura, per chi crede sia possibile). L’art. 92 co. 2 Cost. è chiarissimo nel delineare tale necessaria sequenza: il Capo dello Stato dapprima nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo (ossia della personalità effettivamente nominata Premier), i ministri. Detto altrimenti: i ministri non possono essere «riprovati» dal Presidente della Repubblica prima che il soggetto proponente sia investito della «qualitas» giuridica che lo rende legittimamente tale. Come si può rifiutare di firmare un decreto di nomina proveniente «a non domino»? Ne deriva che la proposta era tecnicamente irricevibile per motivi di procedura e sarebbe dovuta essere ripresentata dal Presidente del Consiglio dopo lo scioglimento (positivo, si badi) della riserva.

Seconda obiezione: la proposta di nomina di un ministro costituisce atto estraneo all’indirizzo politico. A me sembra che questa posizione sia arbitraria. La proposta in parola rientra pienamente nell’indirizzo politico, ed anzi nel sentire comune e nella Costituzione materiale, che è quella che conta, essa simbolizza ed incorpora una fondamentale opzione ideologica e di futura condotta di fronte all’opinione pubblica. Se la proposta investe un ministro «anti-euro» (che lo sia realmente o meno è irrilevante, quando lo è nella percezione dell’opinione pubblica), questa è già una scelta di campo politica, come le ineffabili reazioni a caldo scatenate da certa (e non disinteressata) stampa internazionale plasticamente confermano.

Terza obiezione: l’art. 89 co. 1 sulla controfirma e la connessa responsabilità ministeriale opera solo per gli atti del Governo. Mi sembra un’esegesi da respingere anzitutto per una ragione sistematica: la previsione ora citata rientra nel Titolo II della Parte II della Costituzione che si occupa in generale del ruolo e dei poteri del Presidente della Repubblica, mentre il Governo trova la sua disciplina nel successivo Titolo III. Ma soccorre anche una ragione testuale: quando la previsione in esame prescrive che «Nessun atto del Presidente della Repubblica» ha validità se non ottiene la controfirma ministeriale, «nessun atto» vuol dire «nessun atto»; non si vede perché il decreto di nomina di un ministro ex art. 92 dovrebbe contraddire una regola così perentoria, peraltro sulla scorta di una deroga solo implicitamente postulata.

Si è parlato abbondantemente, nel dibattito giornalistico e politico, di un asserito potere di «veto» del Capo dello Stato, ma alla luce di quanto osservato si fa davvero fatica a coglierne i tratti nelle maglie dell’art. 92 co. 2 Cost. Del resto, quando il Costituente ha voluto affidare al Presidente della Repubblica un qualche potere di tal genere lo ha fatto esplicitamente; e comunque anche in quel caso ha attribuito netta prevalenza alla volontà parlamentare e, dunque, all’indirizzo politico che Parlamento e Governo insieme (essi soli) esprimono in aderenza al patto fiduciario che li lega ai sensi dell’art. 94 co. 1 Cost. Il riferimento è chiaramente al c.d. potere di rinvio delle leggi, secondo i più ammissibile anche per motivi di merito e quindi di contenuto «politico». I due commi dell’art. 74 Cost. ci dicono che il Presidente della Repubblica, prima di promulgare una legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Anche a voler scorgere qui un «veto» presidenziale, è assai significativo che qualora le Camere approvino nuovamente l’articolato, la promulgazione non può essere negata per la seconda volta.

Dunque, nell’architettura costituzionale è destinata inesorabilmente a prevalere la volontà dei rappresentanti del popolo, ossia quella stessa che avalla la nomina ministeriale nel contesto del rapporto politico fiduciario (art. 94 cit.). La logica è sempre la stessa e deve essere simmetricamente applicata anche per i casi ipoteticamente dubbi: i parlamentari sono eletti e dunque si assumono le responsabilità delle loro scelte di fronte al corpo elettorale. In ultima analisi, se la sovranità appartiene al popolo (art. 1 co. 2 Cost.), in caso di conflitto tra Poteri prevale quello esercitato dalla sede più prossima al Popolo, che è l’Assemblea rappresentativa. Non dimentichiamo che il Capo dello Stato è privo di legittimazione popolare diretta, poiché riceve la sua investitura mediante un’elezione «di secondo grado».

Mi sia consentito, in conclusione, di allargare lo sguardo appena un altro poco. In una Repubblica parlamentare, come è noto, il rapporto fiduciario intercorre tra Parlamento e Governo, non tra Governo e Presidente della Repubblica; proprio per questo assume rilievo centrale il principio di irresponsabilità politica del Capo dello Stato. Voglio richiamare l’attenzione di chi mi legge sull’art. 90 co. 1 Cost. e precisamente sulla parte della proposizione che precede la virgola: «Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni (…)».

Il sistema delle nomine di competenza presidenziale non fa eccezione al principio di irresponsabilità politica: il Capo dello Stato, in quanto «Potere neutro», non si assume alcuna responsabilità né per le nomine dei Ministri (art. 92 co. 2), né per quelle degli alti funzionari dello Stato «nei casi indicati dalla legge» (art. 87 co. 7). Diverso, ma per ragioni del tutto evidenti, è il regime di nomina dei giudici costituzionali: qui la scelta del Presidente della Repubblica, limitata a cinque personalità, è svincolata da ogni proposta e si configura coerentemente quale scelta «piena» e discrezionale (cfr. art. 135 co. 1 e 2). Il motivo di questa soluzione ordinamentale, come si diceva, è intuitivo: i giudici costituzionali, così come lo stesso Capo dello Stato, sono figure di garanzia estranee ad ogni indirizzo politico, per cui la libertà decisionale del Presidente nella relativa individuazione si riespande nella sua completezza, incontrando i soli limiti rappresentati dai requisiti prescritti per l’alta investitura. Ma si noti che neppure in questo caso la sovranità popolare, vero perno dell’ordinamento costituzionale, può subire alcuna forma di svilimento; a riprova, si consideri che identico è il numero dei giudici di nomina parlamentare e presidenziale. Proprio da tale principio di sovranità popolare scaturisce pertanto, anche in questa ipotesi, un contrappeso determinante ai poteri «liberi» del Capo dello Stato.

Altri articoli dell'autore

Advertisment

Puoi leggere anche...

567FansLike
1,441FollowersFollow

Ultime notizie

Agroalimentare e la sua filiera

I lettori di Sentieri Digitali hanno avuto modo di comprendere l’impegno costante per un settore così strategico del nostro Paese e dell’Europa. Nell’ambito della...

L’acqua

L’acqua vuol dire vita e quindi è un bene primario. Senza fare polemiche è ben rappresentare che la rete idrica del nostro paese a dir...

Comunità Energetica

Il Clean Energy for Europe Package è basato su una proposta della Commissione Europea del Novembre 2016 e definisce gli obiettivi e la strategia...

Vuoi avere le notizie aggiornate ogni mercoledi?

Iscriviti alla newsletter

LinkedIn
LinkedIn
Share