Wal-Mart: prezzi bassi e costi sociali

Le recenti proteste che provengono dal mondo agricolo italiano, che lamenta la necessità di una struttura di prezzi che consenta la remunerazione del proprio lavoro, difendendosi dalla concorrenza straniera (sia essa la Cina oppure paesi dell’est europeo), portano all’attenzione il difficile equilibrio tra la convenienza per il consumatore e la sostenibilità della produzione.

Il simbolo di questa contrapposizione è stato straordinariamente descritto da Charles Fishman, nel saggio del 2006 ‘Effetto Wal-Mart. Il costo nascosto della convenienza’ (edito in Italia da Egea). L’impresa di GDO (Grande Distribuzione Organizzata) più grande del mondo, con 6000 punti vendita, un fatturato di 313 miliardi di dollari, il più grande datore di lavoro (2 milioni di dipendenti di cui un1,2 milioni di addetti in USA e il resto in Asia e Europa) è talmente immensa da influenzare l’economia dell’intero pianeta e i produttori di qualsiasi dimensione. E’ il cosiddetto effetto Wal-Mart, generato dalla politica di prezzi sintetizzata dallo slogan "Every day low price", che descrive la mission aziendale: garantire al consumatore ogni giorno il prezzo più basso: migliorando la logistica interna, aumentando la produttività dei dipendenti, mettendo sotto pressione i fornitori. tali obiettivi, se perseguiti dall’azienda di distribuzione più grande del mondo condizionano il mercato in maniera considerevole. ciò genera un insieme di "effetti collaterali" che non sono tutti di segno positivo a livello sociale.

In alcuni casi, il potere di Wal-Mart è stato utile: ad esempio quando ha convinto lo i produttori di deodoranti a rinunciare all’involucro di cartone che conteneva il prodotto, con un risparmio di due centesimi per confezione che è stato ripartito al 50% tra il produttore e Wal-Mart.

Ma nella maggior parte dei casi il risparmio ottenuto dal consumatore ha dato luogo a costi sociali che solo in questi anni si cominciano a quantificare. In primo luogo, si è osservato che l’apertura di un punto vendita Wal-Mart determina inevitabilmente la chiusura dei negozi di vicinato nell’area circostante con una conseguente perdita di posti di lavoro. I forte potere contrattuale di Wal-Mart riduce anche i margini di guadagno dei produttori di tutto il mondo, che spesso tentano di recuperare riducendo la qualità delle merci oppure i salari e la sicurezza dei loro dipendenti.

All’interno dei punti vendita Wal-Mart, i dipendenti lamentano bassi salari, difficoltà sindacali e ritmi di lavoro molto impegnativi.

Su quest’ultimo elemento, è noto che manager di ogni livello e buyer hanno un orario di lavoro che inizia alle 6,30 del mattino e termina alle 17, protraendosi anche fino alle 19. Inoltre, ogni sabato mattina partecipano ad una riunione per fare il punto sulle strategie da attuare: un impegno continuo che assorbe completamente tutte le energie del personale.

Dietro l’immagine gioiosa, family-oriented, di Wal-Mart si cela una multinazionale che divora la concorrenza: negli anni tra il 1990 e il 2000, su 31 catene di supermercati che hanno aderito al Chapter 11, ovvero alla protezione prevista dalle leggi sulla bancarotta, 27 hanno indicato nella concorrenza di Wal-Mart la principale causa del loro fallimento.

Il modello di business proposto da Wal-Mart è nato nel 1962, con il primo punto vendita aperto a Bentonville, nell’Arkansas, dal fondatore Sam Walton, un imprenditore fortemente idealista che si era posto l’obiettivo di rendere felici i suoi dipendenti e i consumatori, offrendo loro prodotti di qualità al più basso prezzo possibile sul mercato. Obiettivo che è stato perseguito con una gestione aziendale eccellente sul piano al livello manageriale, logistico, tecnologico e di cultura d’impresa.

Oggi le dimensioni di Wal-Mart condizionano il mercato, diventando un "costo sociale" che grava su concorrenti, fornitori dipendenti. Un elemento su cui riflettere per chi considera che il mercato, da solo, possa autoregolarsi.

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