Una smart city per una smart community

Smart city, città intelligente, indica un insieme di attività e servizi forniti prevalentemente in modo digitale e personalizzato alla comunità di utenti. E’ un concetto che descrive una realtà che cambia di giorno in giorno; le informazioni comunali sul traffico che scorrono sui pannelli digitali o i totem turistici informativi sono ormai quasi esclusi dal concetto di smart city perché richiedono strutture dedicate e non forniscono informazioni personalizzate. Eppure fino a pochi anni fa ci sembravano così smart…

La diffusione dell’information technology e degli apparecchi digitali, notebook,  tablet, smartphone, wearable watch, consente di raggiungere un pubblico vastissimo in termini numerici e tra i meglio distribuiti per età, sesso, livello di istruzione. I servizi sono offerti prevalentemente attraverso application, app, tanto da parte di privati quanto della Pubblica Amministrazione, cui oggi ci riferiamo come e-government (electronic government), m-government (mobile government) o u-government (ubiquitous government).

Le azioni relative al tema smartness hanno inizialmente puntato allo sviluppo delle nuove tecnologie, dell’internet of things, dei servizi cloud e Service Oriented Computing, ed altro ancora.

Tuttavia da allora sono stati numerosi i casi di servizi tecnologici non decollati o sviluppatisi meno delle aspettative; in buona parte dei casi l’insuccesso è nato dalla mancanza di un’analisi relativa alla comunità di utenti, ai loro bisogni, paure, timori, pregiudizi, aspettative latenti.

Si pensi al concetto di cloud computing, ovvero spostamento nei server di terzi di materiale personale ma non solo: possibilità di noleggiare computer più potenti – fino a potentissimi – anche per pochi giorni (es. un’attività commerciale che debba gestire gli ordini sotto Natale senza intasare i pc) o noleggiare singoli software assai costosi da acquistare. Il cloud non è mai decollato come da previsioni perché non si è riconosciuto e lavorato sul vero fattore limitante: il timore degli utenti di non sapere chi o come gestisce i propri dati, non sapere come questi possano essere manipolati, non sapere come poterne rientrare in possesso esclusivo.

Si definisce un nuovo concetto di smartness: usare la tecnologia come facilitatore per far emergere o sostenere le diverse comunità di utenti; nuovi concetti emergono: social engagement o gamification o pervasive games.

Si pensi alla piattaforma Bla Bla car: è esplosa perché esisteva già una comunità di persone che per vari motivi voleva scambiare viaggi in auto: la tecnologia ha reso possibile l’emersione di questa comunità e semplice la gestione dei fattori coinvolti.

In altri casi la comunità è più difficile da individuare e gestire ma la sfida attuale sta proprio qui. Si pensi alla comunità di utenti che gravitano intorno ad un anziano malato ed allettato presso la propria abitazione: infermieri, badanti, familiari, amici e parenti, il cui numero globale è destinato a crescere di giorno in giorno. In questo caso la tecnologia può sostenere la gestione quotidiana delle pratiche di cura ma anche di quelle amministrative, può favorire la formazione on-line in e-learning di badanti e familiari con costi e modalità di apprendimento davvero democratici. E tutti ne trarremmo immediato beneficio.

La nuova sfida è rivolta alla cura della comunità di persone che formano gli utenti dei diversi servizi ricordando che dietro un username and password c’è una persona con la sua storia.

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