Il tradizionale discorso di fine anno del Presidente Napolitano, pervaso da toni pessimistici sul futuro delle economie occidentali, si affianca ai timori di una prosecuzione della crisi finanziaria paventati dal ministro Tremonti. Solo il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si dichiara ottimista per il nuovo anno.
Non vi è contraddizione tra le diverse posizioni che ne emergono: è vero, come ha indicato il Capo dello Stato, che nel nuovo contesto economico globale è irrealistico un progresso lineare verso un maggior benessere, generazione dopo generazione. Infatti la crescita economica di Cina, India, Brasile e dei paesi del sud-est asiatico va ad erodere le rendite di posizione dei lavoratori delle economie occidentali.
Né la soluzione alla crisi italiana può essere trovata con una irresponsabile politica di assunzioni nel pubblico impiego dei disoccupati, anche se la quota di giovani senza lavoro è in continuo aumento, oltre il 28%: i vincoli della finanza pubblica, su cui vigila con estremo rigore il ministro Tremonti, non lo permettono, come i casi di Grecia e Irlanda hanno recentemente dimostrato.
Che fare allora per i giovani disoccupati, per il personale espulso dal mercato del lavoro per effetto delle delocalizzazioni e della crisi? Sono cittadini che pongono al sistema-Italia un problema a cui è doveroso proporre soluzioni.
Soluzioni che nascono da una nuova visione del lavoro, che rivaluti il lavoro manuale come “arte” e non “fatica”: oggi centinaia di giovani si iscrivono ogni anno ai corsi per stilisti di moda, mentre le aziende ricercato figure tecniche e mani esperte nel realizzare le speciali lavorazioni sartoriali che hanno reso il made in Italy famoso nel mondo.
Il ministro Sacconi è stato ampiamente criticato per le sue recenti dichiarazioni che stigmatizzavano l’atteggiamento di genitori ed insegnanti, che per convenzione sociale instradano verso i percorsi liceali anche i giovani che hanno “l’intelligenza nelle mani”. Giovani che perderanno in futuro l’opportunità di un impiego remunerativo e gratificante, andando invece ad ingrossare le fila di coloro che, per sfuggire alla disoccupazione, accetteranno lavori molto meno qualificati e piacevoli.
Il nostro Paese ha in buona parte rinunciato a settori quali la chimica, l’elettronica di consumo e l’impiantistica, mentre la carenza di materie prime non ha consentito lo sviluppo di un’industria pesante. La nostra industria è prevalentemente manifatturiera, e soffre la concorrenza a basso prezzo di Cina ed altri Paesi emergenti.
La soluzione è innovare le nostre produzioni, dare spazio all’inventiva degli imprenditori e fornire loro personale motivato, con la formazione adeguata. La Francia di Colbert, quando la Rivoluzione industriale ha stravolto i ritmi di produzione in Gran Bretagna, non ha rincorso le industrie a basso prezzo, ma ha promosso gli oggetti “fatti a mano”, di lusso, costosi e richiesti in tutto il mondo. Al punto che – quattro secoli dopo – i principali gruppi mondiali del lusso sono francesi: LVMH, che affianca al brand Louis Vuitton il meglio delle produzioni artigiane, e il gruppo Pinault.
L’Italia è famosa nel mondo per l’arte, la qualità dei suoi prodotti di nicchia, dalla moda all’alimentare: lo sviluppo è qui, ma è necessario disporre di personale specializzato.