Dopo la frana che ha colpito Casamicciola, con il suo corollario di distruzione, morti, polemiche ed accuse incrociate, tra istituzioni ed esponenti politici il rischio maggiore è che tutto rimanga come prima. Decenni di immobilismo, in cui sono stati ignorati i rischi e non sono stati predisposti piani di tutela del territorio, mostrano ora un Paese incapace di affrontare i problemi prima che diventino emergenze e disgrazie.
Secondo i dati del Rapporto ISPRA sul dissesto idrogeologico in Italia “Pericolosità e indicatori di rischio – Edizione 2021”, complessivamente il 93,9% dei comuni italiani (7.423) è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera. In termini di popolazione, 1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane e 6,8 milioni di abitanti sono a rischio alluvioni. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 565.000 (3,9%), quelli ubicati in aree inondabili nello scenario medio sono oltre 1,5 milioni (10,7%).
Uno scenario che dovrebbe richiedere l’impegno delle Istituzioni nello stanziare e soprattutto utilizzare fondi per contrastare questi pericoli, mettendo a punto percorsi operativi che non siano a rischio di veti incrociati, ricorsi al Tar, proteste di ambientalisti ed associazioni di quartiere, e che vedano allineati in modo coeso e responsabile tutte le Amministrazioni coinvolte, dal livello centrale fino al locale.
Purtroppo ciò non avviene: i fondi stanziati rimangono nei cassetti in attesa di bandi su cui poi si accaniranno i ricorsi in tribunale; gli amministratori locali attingeranno poi a tali fondi con le motivazioni più disparate, oppure dovranno utilizzarli per gli interventi successivi ad una frana o alluvione.
Un esempio emblematico della incapacità dello Stato di governare il territorio è il fenomeno dell’abusivismo edilizio. In parte si costruisce in zone che sono a rischio, in parte si costruisce in assenza di piano regolatore, comunque senza rispetto alcuno per le leggi. Un vero contrasto non c’è: motivazioni politiche (il facile consenso) o sociali (chi si costruisce la casa abusiva comunque non graverà sulle poche risorse abitative pubbliche) allontanano lo spettro delle demolizioni, in favore dei periodici condoni, perpetuando una prassi che è diventata ormai un tratto caratteristico del nostro Paese.