I giovani e la Legge Biagi: flessibilita’ e precariato

Tre regole di lavoro auree:

1. Esci dalla confusione, trova semplicità

2. Dalla discordia, trova armonia

3. Nel pieno delle difficoltà risiede l’occasione favorevole.

(Albert Einstein)

La citazione di Einstein invita a riflettere sul valore del lavoro e sull’eterno dibattito relativo alla quantificazione e valorizzazione dell’impegno lavorativo e alla dedizione nella esperienza professionale.

Quale mente, meglio di quella del grande fisico, può correttamente esprimere il modo di percepire l’utilità del lavoro, al di là delle prospettive di carriera e del futuro migliore al quale tutti aspiriamo?

Una riflessione per il migliore apprezzamento della flessibilità professionale, che trova ampia espressione nella legge Biagi, ma che fa nascere una certa ambivalenza e forse anche incongruenza e che giustifica posizioni diverse tra coloro che premiano la quantità nei confronti della qualità e della correlata percezione olistica delle attività lavorative.

In effetti siamo di fronte ad un dilemma, antico quanto il mondo, nei confronti della valutazione semantica del lavoro, a tal punto da risultare difficile non percepirla – spesso e per molti – come vero dramma esistenziale. Fenomeni quali l’aumento esponenziale della popolazione mondiale, la crescente instabilità dell’economia globalizzata e il mercato del lavoro – specie giovanile – ad altissimo tasso di disoccupazione acuiscono le difficoltà del singolo e della comunità a cui appartiene.

A patire questa ambivalenza "spirituale" sono generazioni alle quali per decenni e’ stato inculcato il mito dello studio come garanzia di un impiego sicuro, con prospettive di carriera e di successo, e che ora spesso si ritrovano con una preparazione non rispondente alle richieste dl mercato e/o qualifiche prive di reali sbocchi.

Emerge il quesito riguardo il valore da attribuire al lavoro, se esso è una mera fonte di sostentamento o anche mezzo e traguardo per la realizzazione di proprie aspirazioni ed interessi intellettuali.

Questo lungo preambolo quasi filosofico (mi perdoni il lettore) nulla toglie alla legge Biagi, che si è posta in modo realistico la necessità di avviare a soluzione la gestione dell’ingente tasso di disoccupazione giovanile in essere (specie nel Sud dell’Italia), accostando criteri di ampia flessibilità a quelli di mobilità professionale, con misure essenzialmente tecniche mutuate da analoghe esperienze soprattutto del mondo anglosassone. La Legge Biagi, in linea con i principi comunitari e costituzionali, si presenta come incentivo alla competitività ed al miglioramento del mercato del lavoro, tutti motivi in sé nobili e meritevoli di essere perseguiti.

Purtroppo in Italia si ha troppo spesso la tendenza a voler imparare e "mutuare" dagli altri, senza badare minimamente alla propria realtà sociale, che è molto complessa, densa di luci (capacità di adattamento e intuizione in primis), ma anche ombre (presenza di ampie sacche di clientelismo e opportunismo,tra le altre). In altri termini, è pur vero che di necessità spesso si deve far virtù, ma l’Italia non è la Gran Bretagna e tanto meno la Svizzera (anche se spesso molti amino crederlo) e le "forzature" ammesse dalla Biagi per incrementare lavoro ed impiego, mentre nei Paesi prima citati rappresentano target di utilizzazione minoritari (e temporanei), in Italia spesso diventano la norma, spogliando in definitiva l’esperienza professionale della sua importanza per la selezione definitiva e l’innesto in validi contratti futuri a tempo indeterminato.

In definitiva, quindi, utilizzando la Biagi (in sé per sé valida e positiva) solo come base di un potenziale compromesso sociale ed ammortizzatore temporaneo. Molte volte la vera interpretazione del modus operandi di alcuni Imprenditori viene lasciata alla decisione di un Magistrato, ma ciò, con ogni evidenza, non rientra nella normalità applicativa del testo di legge. Appare, invece, come soluzione molto "italiana" per risolvere applicazioni spesso distorte di una legge altrimenti meritevole di valutazioni ampiamente positive.

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