Lei non sa chi sono io…

Nell’infinita possibilità di scelta derivante da un mercato globalizzato e altamente concorrenziale, secondo quali criteri decidiamo? Cosa ci attrae verso una strada piuttosto che le numerose allettanti alternative? Sarebbe riduttivo pensare ai customers come persone poco razionali ed istintive, secondo cui le scelte non siano pesate a dovere. Per attrarre i clienti è indubbio che ci voglia la miglior offerta, quel quid che fa la differenza, che ti permetta di raggiungere uno sperato livello di soddisfazione e di utilità, vincolato alla capacità economica personale.

La reputazione (dal latino reputatio, pensiero, considerazione) è letteralmente l’opinione che si ha dell’altro, la fiducia che vi si ripone. Considerando le aziende, la si può definire come la raccolta di opinioni e percezioni su un’impresa, passate e presenti, che risiede nella coscienza dei suoi stakeholders, e segue determinati criteri. Si tratta di fiducia, etica, integrità, relazioni. Il che vuol dire che non basta attrarre il cliente con l’offerta del miglior prodotto o servizio – reputation attraction – quanto piuttosto tenerlo ancorato all’azienda attraverso garanzie continue di fiducia e qualità, che potranno attrarre nuove unità col potente mezzo del passaparola.

La reputazione è il paragone tra quello che il cliente si aspetta e quello che realmente prova, e può essere considerata una buona reputazione l’allineamento degli obiettivi coi valori aziendali, così come la condotta deve riflettersi nelle policies strutturali di produzione in senso stretto, nella gestione ordinaria ed extra-ordinaria e nelle politiche di comunicazione.

Gli stakeholders modellano la loro fiducia e conseguentemente la loro attitudine nei confronti dell’azienda proprio basandosi su una sorta d’identificazione impersonale e globale dei valori che guidano le loro decisioni, ed è da queste affinità che riescono ad influenzare il valore futuro aziendale. In quest’ottica possiamo inserire la reputazione nella categoria delle immobilizzazioni immateriali, al pari della leadership, della buona comunicazione interna ed esterna, dell’innovazione e della proprietà intellettuale. Essendo un asset intangibile, è difficile da misurare. È un’azione complessa perchè essa esiste contemporaneamente nella mente delle persone che hanno a che fare con l’azienda e in coloro che dell’azienda hanno solo sentito parlare. Non è mai uguale a se stessa, riflettendo inizialmente ciò che il consiglio di amministrazione dice o fa e successivamente la reazione del pubblico. E, in ultimo, ha un costo molto poco trascurabile. Di fatti, nelle aziende che optano per un monitoraggio costante della reputazione, il controllo viene visto come un investimento, con un ROI atteso, piuttosto che come una spesa.

Certamente, il rischio reputazionale discende dal rischio operativo. Ecco perché è stato lungamente considerato come un rischio secondario. I fattori originari del rischio operativo, per diventare reputazionali, devono incontrare alcune variabili che ne trasformano la capillarità tra l’azienda e il mercato dei clienti, come la fiducia, il marchio, la comunicazione interna ed esterna.

Mentre con Basilea II è stato elevato alla pari di tutte le altre categorie, dal rischio di credito al sistemico, e quindi merita un approccio appropriato di management.

Il rischio reputazionale è il rischio che un problema di reputazione latente possa diventare un problema attuale. Il reputational risk management è l’insieme di azioni e politiche intraprese e consolidate mentre i problemi reputazionali sono ancora latenti, al fine di ridurre la probabilità di impatto del problema o i costi previsti per la sua soluzione.

E se l’Economist lo definisce “risk of risks”, forse dovremmo iniziare a considerarlo come merita. Perchè la leadership di mercato garantisce una stabilità dei prezzi e un benessere finanziario costante. Che aumenterà l’utilità percepita dagli stakeholders, che sarà maggiore di quella attesa. E come conseguenza aumenterà il livello di fiducia, che attirerà nuovi clienti. È un ciclo, come ogni teoria economica che si rispetti.

In effetti, pensiamoci. La fiducia non decide la vita sociale, politica, emotiva, interattiva? Ti fidi del tuo amico, per questo lo segui. E il candidato, l’assessore, il consigliere? Mi fido, lo voto. Il tg? Idem avec pommes de terre. E altrettanto vale per la pasta, la macchina, i viaggi in treno, il microonde.

Gli approcci al reputational risk management possono essere previsti, minimizzando i fattori scatenanti il rischio reputazionale, e in tal caso parliamo di un metodo ex ante, o nell’altro caso un criterio ex post che permette di minimizzare il danno d’immagine dell’azienda.

In una gestione del rischio ex ante, è compito dell’azienda valutare le possibili cause che potrebbero minare la reputazione interna ed esterna, destinare ad ognuna di esse, effettuando continui controlli di qualità, seguendo le linee guida dell’ UNI-EN-ISO 9001:2008, oppure diversificando il brand (come nel caso di Fiat e Fiat Industrial). Come saggiamente e popolarmente si dice, buttarsi avanti per non cadere indietro. È una sorta di asta al ribasso, in un approccio previsionale soggetto a numerose variabili non quantificabili.

Un RR management ex post, invece, consiste nell’evitare la manipolazione dei media, che hanno un potentissimo appeal sulle scelte del consumatore, risolvere le cause operative del rischio e cambiare il brand soggetto a scandalo. Ma l’azione più efficace è trasferire l’evento nell’immaginario globale e usarlo come trampolino per sottolineare la differenza tra l’errore e i nuovi risultati. Prendiamo ad esempio il lancio della Nuova Classe A nel 1997, che in occasione della presentazione del prodotto, non superò l’elk test. “Abbiamo fatto un errore, abbiamo risolto e abbiamo imparato la lezione”. Il messaggio è stato un coraggioso tentativo di evitare una catastrofe di marketing, seguita poi da un’influenza negativa sui livelli reputazionali. Stesso test, stessi piloti, stessi giornalisti: esito positivo. Il gruppo Mercedes-Benz è conosciuto come garanzia di sicurezza ed affidabilità, e di quell’alce non ne parla più nessuno.

Soluzioni? Efficienza informativa, secondo cui la totalità delle informazioni disponibili ricade completamente nel prezzo dei beni prodotti o servizi erogati, affiancata da efficienza valutativa, che usa le stesse info per esprimere valutazioni sull’azienda stessa. Diventa, quindi, necessaria la trasparenza. E l’etica.

Altri articoli dell'autore

Advertisment

Puoi leggere anche...

567FansLike
1,441FollowersFollow

Ultime notizie

Agroalimentare e la sua filiera

I lettori di Sentieri Digitali hanno avuto modo di comprendere l’impegno costante per un settore così strategico del nostro Paese e dell’Europa. Nell’ambito della...

L’acqua

L’acqua vuol dire vita e quindi è un bene primario. Senza fare polemiche è ben rappresentare che la rete idrica del nostro paese a dir...

Comunità Energetica

Il Clean Energy for Europe Package è basato su una proposta della Commissione Europea del Novembre 2016 e definisce gli obiettivi e la strategia...

Vuoi avere le notizie aggiornate ogni mercoledi?

Iscriviti alla newsletter

LinkedIn
LinkedIn
Share