Brexit

Sono trascorsi circa tre anni da quello da molti definito “fatidico 23 giugno 2016”, giorno in cui nel Regno Unito ha avuto luogo il referendum che ha visto vincere la volontà di uscita dall’Unione Europea del paese.
Il 51,9% dei favorevoli a Brexit contro il 48,1% del Remain destò grande stupore, non soltanto da parte dei conservatori guidati dal leader James Cameron che, sebbene fosse stato il fautore della chiamata in causa del popolo, si schierò contro l’uscita della Gran Bretagna dalla UE, ma anche fuori dai confini britannici.
Tantissimi i dibattiti che hanno visto al centro della discussione il tema relativo a come gestire la situazione poiché si parla del primo caso nella storia di un Paese uscente dalla Comunità Europea.
Da tempo si parla del tema delle negoziazioni, di fughe di capitale dall’isola nonché di un certo risvolto negativo per l’economia nazionale.
Tutte preoccupazioni che però non sembrano scuotere più di tanto la Gran Bretagna. La stessa infatti è stata, sin dall’inizio, l’unico Paese che ha stabilito di non aderire alla moneta unica europea, ovvero l’euro, mantenendo la patriottica sterlina. Un paese che, pertanto, ha sin da subito posto dei paletti e condizioni sulla sua presenza nella comunità europea non abbandonandosi mai totalmente a questo ideale di integrazione tra i popoli, atteggiamento mantenuto nel corso del tempo.
Con il referendum che ha visto vincitrice la Brexit la Gran Bretagna è stata chiamata però a prendere una decisione definitiva, netta e, soprattutto, a prendere la decisione voluta dal popolo. Esso, dopo 10 anni di Austerity ha ribaltato i sondaggi con la volontà di uscire dalla Ue tradendo tutte le previsioni dei sondaggi.
Ciò ha acceso il fuoco del terrore da parte dell’opinione pubblica soprattutto estera tanto da criticare ferocemente l’entrata sul palco di una positiva Teresa May simulante dei passi di ballo tipici di un rilassato invitato ad una festa tra amici. Già, un ballo, sintomo di grinta, che rappresenta un “l’abbiamo voluto e lo facciamo” perché è questo di cui oggi il governo inglese si fa portavoce ed in cui si impegna: fare ciò che vuole il popolo.
Infatti, sebbene il clima politico oltre manica non sia dei più rilassati, per quanto concerne il tema brexit si va dritti per la tangente. L’informazione nazionale e internazionale non fa emergere quello che è un altro fenomeno ovvero che ad oggi gli inglesi stessi sono i primi a chiedersi perché sono trascorsi quasi tre anni dalla brexit ed ancora la faccenda non sia chiusa, senza il minimo ripensamento dunque sulla decisione presa.
Gli inglesi non hanno timore delle conseguenze che invece fanno leva sul pessimismo comune, poiché hanno in serbo la piena consapevolezza che saranno in grado di gestire la situazione e anche nei tempi prestabiliti.
Alla domanda se ci sarà una richiesta di proroga la loro risposta è un secco no. La Gran Bretagna non chiederà proroga ad autunno per la chiusura della negoziazione, lo faranno a marzo come stabilito, per il loro popolo è già tardi e non sarà deluso.
Questo fa della Gran Bretagna un grande popolo, patriottico con un fortissimo senso sociale e di rispetto nei confronti della volontà del popolo.
I più ritengono che l’UE non dovrebbe acconsentire alle loro richieste e, piuttosto attuare la politica del “muso duro”, così da dimostrare le conseguenze che altri paesi patirebbero laddove, in un futuro, dovessero osare i a voltare le spalle all’Unione Europea,ma, esattamente con la classe e l’eleganza di un cane da caccia che popolano i cottidge inglesi con musi rivolti in alto e petto in fuori, così gli inglesi affrontano l’Unione Europea, a testa alta per l’appunto.
Che non sia per questo paese l’occasione per aumentare la coesione al suo interno e tornare alla ribalta di una delle più grandi potenze mondiali in cui si è sempre identificata e di cui è sempre stata all’altezza?
Che dire, God save de UK!

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