Qual è il futuro dell’industria italiana, esposta sempre più alle insidie della globalizzazione? Tonnellate di merci a basso costo invadono il mercato nazionale e rendono meno competitive le nostre esportazioni; molte aziende delocalizzano alla ricerca di costi di produzione più bassi, per resistere ad una concorrenza che si basa esclusivamente sul prezzo. E’ un modello di marketing perdente, che cancella in un colpo solo le altre 3 “p” del marketing definite da P. Kotler (Prodotto, Punto vendita, Promozione), oppure le ridimensiona al punto da rendere qualsiasi merce, sia essa un maglione o un ferro da stiro, una “commodity”, ovvero una merce indistinta come lo sono le risorse naturali (petrolio, rame, ecc).
Il marketing è fondamentale nel mercato di oggi, per esaltare le caratteristiche peculiari di un prodotto, renderlo “unico” agli occhi del consumatore, in modo da spostare la concorrenza lontano dal prezzo, potendo diversificare l’offerta con prodotti di qualità, che consentano di ottenere margini unitari di guadagno maggiori. La qualità: questa è la strada per il nostro Paese.
A Ginosa di Puglia, vi era una fabbrica del gruppo Miroglio (abbigliamento di fascia medio-bassa): nel 2004, nemmeno dieci anni dopo essere stata aperta con sovvenzioni pubbliche, è stata chiusa per delocalizzare. Nella stessa città, oggi, il camiciaio Angelo Inglese (che ha per clienti il premier giapponese Hatoyama e, in passato, Gianni Agnelli) produce la camicia per il matrimonio del principe William. Una fama che discende da lavorazioni accurate, eseguite a mano con metodi tradizionali, che non hanno mai ceduto il passo a “scorciatoie” che riducono la qualità del prodotto, offuscando il prestigio del made in Italy nel mondo.