L’aumento del costo delle commodity

L’aumento del costo delle commodity mette a rischio i margini delle imprese europee
importatrici

Le valute dei Paesi produttori di materie prime, come il dollaro canadese e la corona norvegese sono già in robusto apprezzamento e si prevede che almeno fino a fine anno si assisterà ad ulteriori rialzi. Seguiranno le valute degli emergenti non appena la lotta alla pandemia avrà segnato qualche vittoria. Per evitare impatti, le aziende importatrici possono coprirsi dal rischio di cambio

 Milano, 08 giugno 2021 – “Il renmimbi è aumentato del 12% a unno contestualmente ad un rialzo, tra il 15 e il 90%, registrato dalle principali materie prime nello stesso periodo. questa è la ragione per cui siamo costretti ad aumentare i prezzi di vendita delle nostre referenze”. È l’incipit della mail inviata da un fornitore cinese a un’azienda cliente italiana. Ed è esemplificativa del potente impatto che le fluttuazioni valutarie possono avere sui margini delle aziende importatrici, se non si coprono dal rischio di cambio.

    Il renmimbi, come le altre valute dei Paesi produttori di materie prime – ma anche di semilavorati e componenti che subiscono un effetto indiretto – sono destinate ad apprezzarsi ancora. Si prevede infatti che fino a fine anno almeno si assisterà a ulteriori aumenti nelle quotazioni di questi beni.

Il volo inarrestabile dei prezzi delle materie prime

 Nel caso della valuta cinese il trend di apprezzamento è già iniziato, ma esisteva la possibilità che le materie prime potessero in qualche modo assorbirlo sgonfiandosi. Tuttavia, la ripresa dell’economia più rapida e solida del previsto ha generato l’effetto opposto.

Il movimento di potente rialzo è cominciato a inizio 2021 a partire dal petrolio. I future sul Brent sono aumentati di circa il 30% da 52 a 68 dollari al barile, tornando al valore di gennaio 2020. Hanno seguito importanti rally dei metalli, in particolare alluminio (+18%), rame (+28%) e minerale di ferro (+24%), questi ultimi due ai massimi storici. Anche i prezzi delle commodity agricole hanno registrato un brusco balzo in avanti, in particolare il legname (+66%) e la canola, da cui si ricava olio e farina di colza (+40%), sono volati ai loro nuovi record; e il mais su del 34%.

L’indice Crb Commodity di Refinitiv / CoreCustomity, che rappresenta una media aritmetica dei prezzi dei futures sulle materie prime, è al livello più alto da luglio 2015 (Figura 1).

Effetto uscita dal tunnel pandemico

A generare questo boom sono stati diversi fattori. Ma su tutti svetta la ripresa dell’economia globale, spinta dall’avanzamento delle campagne vaccinali in particolare negli Usa, dove oggi è stata somministrata almeno una dose a circa il 50% della popolazione.

Nel frattempo la Cina ha già da alcuni mesi ripreso a produrre a pieno regime, dopo essere stata la prima a uscire dalla spirale pandemica. L’ex celeste Impero è uno dei maggiori consumatori di materie prime al mondo e ha innescato, con la sua domanda massiccia, la spirale al rialzo dei prezzi delle commodity.

I prezzi delle materie prime sono avviati in un superciclo?

 Ma c’è dell’altro. A influire sui prezzi sono stati anche gli interventi di politica monetaria e fiscale iper espansiva messi in piedi da banche centrali e governi. Le banche centrali ci hanno proiettato in un contesto permanentemente a tassi zero mentre gli Stati hanno iniettato una montagna di liquidità a beneficio di famiglie e imprese. Un contesto di bassi tassi di interesse non solo supporta la domanda, ma riduce anche il costo di trasporto e quello fisico di immagazzinaggio delle commodity. Tutti elementi che fanno ritenere si sia entrati nella spirale di un superciclo in cui i prezzi sono destinati a crescere ancora a lungo.

L’impatto sulle valute e come difendersi agendo d’anticipo

 Chiaramente, le economie che dipendono fortemente dal settore primario hanno beneficiato del rialzo delle quotazioni delle materie prime: quelle con le migliori performance da inizio anno sono state il dollaro canadese (+5,5% contro dollaro) e la corona norvegese (+2,2%), ovvero le più dipendenti dalle materie prime nel G10.

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