Letteratura Albanese di Alberto Straticò – Parte 5

Continua, in questo numero di Sentieri Digitali lo spazio dedicato ad Alberto Straticò: Albanesi in Italia.

Una prima emigrazione di Albanesi nell’Italia avvenne nel 1396, dopo la vittoria Turca di Nicopoli, e precisamente nel villaggio di Piroi sul confine veneto. Allorchè Alfonso d’Aragona era in lotta con Renato d’Angiò, l’albanese Demetrio Reres gli venne in aito con tre poderose squadre, comandate da lui stesso e dai due suoi figli Giorgio e Basilio. Riuscito l’Aragonese ad unire sotto il proprio dominio i regni di Napoli e di Sicilia, nominò il Reres governatore della provincia di Reggio Calabria, la quale, parteggiante per gli Angioini, era stata dal Reres medesimo sottomessa a lui; ed allora Giorgio e Basilio Reres con i loro commilitoni passarono nella provincia di Catanzaro, fondadovi i villaggi di Andalo, Amato, Ariette, Carafa, Casalnuovo, Vena, Zangarone, Palagoria, S.Nicola dell’Alto, Carfizzi e Gizzeria. Demetrio Reres ed altri suoi fidi passarono di poi in Sicilia, stabilendosi definitivamente in Contesse. Alla morte i Scanderbeg, altri Albanesi, per sfuggire l’ira e il giogo ottomano, emigrarono in Italia. Alcuni si rifugiarono nelle terre del Molise, fondandovi i villaggi di S. Elena, S. Croce di Migliano e Colle del Lauro; altri sbarcarono presso Corigliano Calabro, recandosi a fondare, sulle pendici della Sila, i paesi di S. Demetrio, Macchia, S. Cosmo, Vaccarizzo, S. Giorgio e Spezzano; altri si recarono nelle Puglie, fondando i paesi di S. Pietro in Galatina, Faggiano, Martignano, Monteparano, Roccaforzata, S. Giorgio, S. Martino, S. Marzano, Sternatia e Zollino; altri, infine, si recarono nella Capitanata, fondandovi i paesi di Casalvecchio, casalnuovo, Panni, Greci e S. Paolo. Dopo la caduta di croya (1478), che fu difesa sino all’ultimo dagli Albanesi rimasti in patria, molte altre sconsolate famiglie vennero in Italia a raggiungere i loro connazionali nella Calabria Citra; ed allora sorsero i comuni albanesi di Lungro, Firmo, Acquaformosa, Castroregio, Cavallerizza, Cerzeto, Civita, Falconara, Frascineto, Percile, S. Basilio, S. Benedetto, S. Caterina, S. Giacomo, S. Lorenzo, S. Martino, S. Sofia, Serra di Leo, Marri, Cervicato, farneto, Mongrassano, Platici, Rota: nomi questi portati quasi tutti da quei villaggi spopolati prima dell’arrivo degli Albanesi. Rotta la guerra tra Baiazet II e Venezia (1481-1492), siccome il Turco fece appesantire la sferza sulla bassa Albania, altri Albanesi emigrarono, recandosi in Sicilia: quivi, la famiglia Adriano fondò Palazzo Adriano, e altri fondarono Piana dei Greci e Mezzoiuso in provincia di Palermo; altri fondarono S. Angelo, in provincia di Girgenti; ed altri, infine, fondarono S. Michele e Bronte in provincia di Catania. Nel 1532, gli Albanesi di Corone, minacciati dal Sultano per aver prestato aiuti ad Andrea Doria alla presa di quella città, ottennero, per mezzo del vicerè di Napoli, dall’imperatore Carlo V di venire in Italia su duecento navigli; e venutivi, furono trattati con riguardi speciali. Alcuni si ritirarono nell’isola di Lipari, altri si ricongiunsero con i connazionali di Sicilia e del Continente, ed altri fondarono Barile, Maschite, S. Costantino e Casalnuovo di Basilicata, e Farneta nella Calabria Vitra. Nel 1680, altri Albanesi vennero a sbarcare in Italia, fondando i paesi di Ururi, Portocannone, Campomarino, Montecilfone in provincia di Campobasso, e Chieuti e Castelvecchio in provincia di Foggia. Infine, snidati dal Turco sui monti della Chimera, gli abitanti di Pichermi, che fino allora avevano serbata la loro fede religiosa ed erano vissuti quasi indipendenti, emigrarono in Italia (1744). Carlo III di Borbone li fece collocare in un antico feudo di Casa Farnese, nell’Abruzzo teramano; e quivi essi fondarono il villaggio Villa Badessa, che ora è una frazione del comune di Rosciano, nel circondario di Penne, e conta poco meno di 500 abitanti. Tralasciando di accennare al altre emigrazioni avvenute alla spicciolata, diciamo che il numero de’ comuni albanesi in Italia è di 79, de’ quali 25 professano il rito greco e 54 il latino. Il numero totale degli Albanesi delle colonie italiane, che era di 110955 nel 1806, 168802 nel 1846 e di 196768 nel 1886, si può ora calcolare di oltre 200 mila. Gli Albanesi d’Italia, pur continuando a ricordare la madre patria, ci tengono ad essere e sono italianissimi. Nelle guerre per l’indipendenza italiana, essi corsero sui campi di battaglia con lo stesso entusiasmo con cui i loro padri erano corsi, sotto la guida di Scanderbeg, a combattere i Turchi, raccogliendo lodi ed onori, dopo l’esilio, il carcere, il patibolo o la vittoria. Basti ricordare, fra gli altri, Agesilao Milano, il cui attentato è a tutti noto; Francesco Crispi, che ora regge le sorti d’Italia e vola come aquila sugli statisti d’Europa, Domenico e Rffaele Mauro e il mio illustre concittadino Generale Domenico Damis, i quali furono dei Mille di Marsala; e poi una lunga schiera di altri patrioti che non è qui il caso di nominare, ma che contribuirono efficacemente alla caduta dell’odiato Borbone. Ricomposta l’Italia ad unità, gli Albanesi, completamente fusi con gl’italiani, acquistarono onorevoli posti nelle lettere, nelle scienze e in tutte le pubbliche amministrazioni, nelle quali postarono l’acutezza del loro ingegno e la fermezza del loro carattere, di che han lode per opinione costante dei loro nuovi connazionali. Salvo qualche illuso, nessuno d’essi pensa più al ritorno in Albania.

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