Il linguaggio, la base della comunicazione

Uno dei neologismi più inquietanti della nostra società è il termine dealfabetizzazione, così riportato dalla Treccani

“A guardare le cose da specialista, bisogna dire che le ultime generazioni sono preda innocente di un gigantesco processo di dealfabetizzazione, un bradisismo cognitivo che li allontana inesorabilmente (come gusto, come propensione, come capacità tecnica) dal leggere e dallo scrivere.” [Raffaele Simone, il Messaggero 23/01/2005].

Il docente di linguistica già da alcuni manifesta la sua preoccupazione per l’impoverimento del linguaggio delle giovani generazioni, che perdono rapidamente le nozioni imparate durante gli anni della scuola rifugiandosi in uno stile di comunicazione povero sul piano lessicale e incerto nella sintassi, che riduce le capacità di esprimere concetti, emozioni, idee di una seppure minima complessità.

E’ un linguaggio che si rifà all’intrattenimento leggero di una tv diventata “commerciale” nel senso negativo del termine, ai testi dei giornali di gossip, alle cronache di calcio. Luoghi virtuali dove si comunicano banalità nel modo più elementare possibile, al fine di attirare l’attenzione anche dei più distratti e dei meno scolarizzati.

Anni fa qualcuno ha addossato la colpa di questo fenomeno alla “moda” nascente degli sms, ripetendo per l’ennesima volta l’italico vizio di demonizzare uno strumento della tecnologia: era già successo con la televisione a colori (osteggiata, tra gli altri, da Ugo La Malfa, perché le pubblicità a colori avrebbero “favorito il consumismo”), con il risultato di distruggere le poche aziende produttrici di tv in Italia; e succede ogni giorno con Internet, visto come luogo di perdizione, covo di depravati e pedofili e non come opportunità di studio e conoscenza a costo zero per milioni di cittadini che non possono permettersi l’acquisto di enciclopedie, libri (disponibili gratuitamente – in italiano – a decine di migliaia su Google Libri), quotidiani e riviste di approfondimento.

In realtà la colpa è di una scuola che non insegna la passione per la lettura, elemento di crescita individuale e contributo essenziale al raffinarsi delle capacità di espressione del giovane. Se il 65% degli adolescenti (11-14 anni) è “lettore”, come mai questa percentuale si abbassa durante (e dopo) il liceo, perfino per gli studenti universitari? Come può essere che solo il 47% degli italiani legge almeno un libro l’anno, che magari è la raccolta delle barzellette su Totti oppure le ricette di cucina di una presentatrice televisiva?

Ci sono importanti responsabilità nei percorsi formativi, dai quali il giovane esce con una capacità di esprimersi estremamente limitata. Avviene nei licei, dove i docenti svolgono il loro lavoro con sempre minore partecipazione al futuro dei giovani; avviene nelle aule universitarie, dove lo studio non viene valorizzato come fonte di sapere ma come strumento per conquistare il “pezzo di carta”.

Su questo disastro si innestano iniziative quali “Libri per ragionare. Libri per sopravvivere”, lanciato dalla Fondazione del Consiglio Nazionale Forense, per fronteggiare la scarsa conoscenza della lingua italiana dei giovani laureati in giurisprudenza, come emerge dalle prove d’esame degli aspiranti avvocati. Un analfabetismo espressivo che determina frequenti errori di ortografia e grammatica e difficoltà a comprendere un testo scritto. Questo è il frutto di uno stile di vita così sintetizzato dall’ex presidente delle Camere Penali, Ettore Randazzo, “Il problema grave è che molti avvocati leggono solo le pagine sportive dei giornali”.

La Scuola Superiore dell’Avvocatura è convinta che un avvocato non posso essere solo un “tecnico delle aule giudiziarie”, ma che debba «misurarsi con un mondo di valori, cercando nella cultura e nell’etica la propria indipendenza professionale». Per questo motivo essa ha realizzato una “lista” di libri da leggere, al fine di contribuire a risvegliare le conoscenze linguistiche delle nuove leve legali: perché chi non sa leggere non sa scrivere. E raramente sa pensare.

Un invito alla lettura che ci riporta indietro di secoli alle parole di Cicerone: «una stanza senza libri è come un corpo senza anima»

Francesco Chiappetta
Il prof. Francesco Chiappetta, manager d'azienda, è stato docente universitario di vari atenei. Ha profonda esperienza comprovata da incarichi importanti in azienda leader nel settore delle telecomunicazioni. La sua esperienza diversificata ha l’obiettivo di fornire consulenza direzionale, innovativa e approfondita. E' iscritto all'albo dei giornalisti dal 2005, successivamente nel 2007 pone un’iniziativa editoriale, per la società Si -ies, fondando Sentieri Digitali E-magazine di creatività e tecnologia per la comunicazione d’impresa. L’obiettivo di Sentieri Digitali è dedicato alla Comunicazione d’impresa in senso lato: ovvero dalle grandi imprese alle pmi e gli artigiani, dai professionisti alle PA, dal Marketing agli obblighi d’informazione per le società quotate. L’intero contesto dell’e-magazine è incentrato sui passi evolutivi della trasformazione digitale.

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