Le sommosse che hanno devastato la Francia in questi giorni sono un monito nei confronti di chi adotta un approccio eccessivamente semplicistico nei confronti degli effetti di imponenti flussi migratori in Europa.
Il principio di accoglienza, che ha le sue basi nella solidarietà tra popoli quando si tratta di persone che fuggono da conflitti o dittature, oppure nel dettato cattolico in riferimento ai migranti “economici”, non può essere un criterio assoluto su cui basare le politiche nazionali ed europee.
Il welfare state ben sviluppato nelle nazioni occidentali rappresenta una forte attrazione per chi viene dai paesi più poveri; la generosità dei circuiti assistenziali, ha dato una casa a molti, se non a tutti, ma creando aree che costituiscono enclavi dove la maggioranza (o quasi totalità) degli abitanti sono musulmani.
Ogni religione merita rispetto, ma se una religione non ha attraversato il cammino che la scinde dal potere politico e giudiziario, pretendendo di essere la religione stessa Legge fondante dello Stato, il conflitto con le regole di una democrazia moderna è inevitabile.
Ed ecco formarsi nei quartieri musulmani una specie di “Stato nello Stato”, in cui la comunità islamica si chiude nelle sue regole, rimane distante dal Paese che la ospita e non avviene alcuna integrazione con la popolazione locale. Il Paese ospitante, anche per le seconde o terze generazioni, rimane lontano, visto come una risorsa da sfruttare sia legalmente (sussidi, case popolari, servizi gratuiti) oppure nell’illegalità (furti, spaccio, ecc.), e di cui si disprezzano i valori.
In Francia ci si deve rendere conto che l’integrazione dei migranti non è avvenuta: perché erano troppi, arrivati in poco tempo; perché i fondi per l’integrazione non erano sufficienti e sono stati utilizzati male, senza controlli sui risultati delle attività finanziate; perché, purtroppo, il meccanismo di integrazione non interessava i migranti (chi proviene dalle ex colonie francesi, non ama certo la Francia !) e non interessava veramente nemmeno i francesi.
C’è un fuoco di rabbia, se non di odio, che cova nei quartieri della “non integrazione”: qualsiasi evento può farlo divampare scatenando distruzione ed esacerbando gli animi, da ambo le parti. Ciò costituisce una vera emergenza su cui la Francia deve lavorare, rendendosi conto che accogliere non è solo dare un tetto sopra la testa ed un pasto caldo.