La post-verità
Quella che riportiamo nel titolo è una espressione che molte persone hanno detto e ripetuto assiduamente.
Gli americani si esercitano in tutto. Anche per le parole più usate nell’arco di un anno (è una comunicazione a 360°). Secondo l’Oxford Dictionary la parola post-truth, cioè “post-verità”, nel 2016 è cresciuta del 2000% rispetto al 2015. È importante esaminare quando e dove il termine è stato detto, probabilmente in contesti non influenti degli appelli a emozioni e credenze personali nel formare o orientare l’opinione pubblica. Bisognerebbe verificare come l’Oxford Dictionary ha condotto l’indagine: quale campione ha preso? Come ha scelto il campione? Era un campione di parte? La medesima parola viene selezionata dall’Oxford Dictionary come per gli USA anche per la Gran Bretagna.
Ed ecco che uniscono Brexit e Trump, entrambi i Paesi hanno avuto delle esperienze di “post-verità”. Infine vi è l’ultima notizia importante ed è che la realtà del termine post-truth viene compiuta già prima che i risultati americani delle elezioni siano ufficiali.
In Italia abbiamo “il tapiro” in USA “Pinocchio”. Gli americani si erano autoconvinti, non tutti, che le promesse elettorali fossero “promesse attendibili” ed anche i “comizi” fossero ponderati. È sorprendente notare che i candidati diano dati del paese errati, ma convinti dell’esattezza da parte dei candidati.
La disoccupazione aumenta o diminuisce secondo come viene costruito il paniere. Noi in Italia quando non ci fa comodo non crediamo neanche ai dati Istat. Questi americani a dir poco sono strani/particolari in quanto sostengono che la verità o la falsità siano del tutto ininfluenti in termini di successo politico.
La conclusione pessimistica è invece che, a spararle grosse blandendo le peggiori emozioni e credenze personali, poi si vince alla grande. Forse bisognerebbe fare uno studio “neutrale” sugli americani.