Accelerare l’evoluzione del project manager: si può?

Tutti gli esperti sono concordi nel ritenere che il Project Manager è una figura centrale nel percorso di trasformazione digitale, in quanto la velocità e la complessità del cambiamento sono tali da richiedere professionalità e processi capaci di risolvere in modo nuovo e creativo temi ormai lontani dai tradizionali paradigmi.

Tutti sono d’accordo, eppure la figura del “P.M.” da noi non decolla. Questo per una serie di  ragioni, nella sostanza così sintetizzabili:

– La figura del “P.M.” sottrae potere ai manager di funzione, e quindi deve stare “a latere” dell’organizzazione per il tempo strettamente necessario a portare a termine il progetto, senza “invadere” l’ambito decisionale dell’organizzazione tradizionale. Dopodichè deve sparire, perché non è compatibile con l’organizzazione stabile dell’impresa. 

– La figura è talvolta individuata secondo il criterio “promoveatur ut amoveatur”, e quindi rischia di essere un esubero organizzativo, a cui poi si aggiungono altri esuberi per completare il team di progetto. Non ha quindi le competenze specifiche, né a volte la motivazione, per interpretare appieno il ruolo che la dottrina gli ritaglia. 

– Le metodologie di Project management, ormai copiose e raffinate, vengono interpretate in modo burocratico, generando entropia e lavoro aggiuntivo per tutti. Qualcuno perché non è capace a far diverso, qualcuno perché è stato formato poco e male, qualcuno perché cerca così di difendere il ruolo assegnatogli in assenza di sufficiente autostima progettuale. 

– È raro infine che i “P.M.” abbiano adeguato standing e leadership, proprio perché essendo “a tempo” si preferisce impiegare altrove le risorse migliori.

Se questo è vero, e se è vera la crescente importanza del project management per il successo delle imprese, la domanda è: si può accelerare in Italia l’evoluzione del “P.M.” affinchè diventi davvero una forza trainante della trasformazione?

Il quesito trova prime risposte affermative grazie anzitutto ad alcune condizioni di contesto che sono ormai entrate nel DNA delle imprese moderne, rendendo obsoleto il Project management tradizionale. Quel PM, per intenderci, sviluppato in America dalla NASA negli anni sessanta che ha portato l’uomo sulla luna ma che nel tempo ha manifestato tutti i suoi limiti, manifestatisi presto in Italia perché prima di riuscire ad implementare il metodo “tradizionale” di PM il mondo è improvvisamente cambiato.

Ecco le principali nuovecondizioni di contesto” entrate prepotentemente in campo:

– i progetti, ora, non si susseguono più uno per volta come le missioni di “Apollo“ della Nasa, ma vanno sviluppati contestualmente e sono spesso tra loro interconnessi.

– Sono strettamente integrati con il core business d’impresa e con le attese del cliente finale, e perciò sono anche molto flessibili e non predeterminabili come durata ed effort.

– Spesso nascono dall’oggi al domani e vanno realizzati con urgenza ed eccellenza.

– Le strategie d’impresa sono inoltre sempre più orientate alla pianificazione e allo sviluppo di progetti rolling, senza soluzione di continuità, come normale modalità di gestire il proprio business.

Queste nuove “condizioni di contesto” fanno cadere uno dei principali ostacoli al mancato decollo del “P.M.”, cioè il suo configurarsi come profilo part-time lontano dall’organizzazione stabile, con le rovinose conseguenze accennate all’inizio.  

Oggi la cultura del “P.M.” richiede professionisti “a tempo pieno”, completi, specializzati e formati, in cui il ruolo tecnico è sfumato rispetto alle competenze più manageriali. Di conseguenza le aziende si evolvono verso un modello che non vede più il “PM” come una spina nel fianco dell’organizzazione che leva le castagne dal fuoco quando serve, ma come una componente stabile e al tempo stesso flessibile della struttura su cui investire in termini di metodologie, formazione, persone e sistemi informativi.

Il PM diventa parte essenziale dei progetti prima ancora che essi nascano, perché è diventato ormai perdente il modello “a cascata” in cui c’è chi definisce il progetto, chi ne specifica i requisiti e poi il PM che lo sviluppa. Se quest’ultimo viene ingaggiato da subito è molto probabile che l’integrazione con gli altri progetti sia naturale e che il neonato progetto, magari dopo qualche sana negoziazione con gli stakeholder, sia concepito favorendone la realizzazione in tempi congrui.

Realizzazione che non può essere più affidata del tutto ad un ulteriore soggetto organizzativo – magari proprio la “line” tradizionale – in quanto solo se rimane ancora nelle responsabilità del PM ci si garantisce un fluido end to end del progetto. In cui non c’è più spazio per quel fallimentare gioco dei ruoli della serie: “tu l’avevi progettato male” vs. “tu l’hai realizzato senza capire bene”.

Ancora: il PM Office viene così attrezzato con procedure e sistemi che favoriscono la replicabilità delle soluzioni e delle metriche necessarie a presidiare lo sviluppo del progetto.

E se questi sistemi sono ben strutturati cade anche un altro ostacolo, quello correlato al processo decisionale.

Gli stakeholder del progetto non si sentiranno più infatti senza potere, dentro una “black box” in cui aspettano il risultato con qualche kpi in mano. La loro partecipazione è più attiva, in un quadro consapevole nel quale il processo decisionale è fluido, senza strappi e con meno giochi di ruolo. Con il responsabile di line, il “contraltare istituzionale” del progetto, che alla fine non potrà considerare la soluzione del PM come “una proposta da valutare” riservandosi il giudizio finale, perché è stato parte del processo decisionale.

Al fluido processo informativo e decisionale concorrono poi le nuove metriche. Se finora i progetti sono stati perlopiù misurati secondo le due dimensioni del tempo e del costo, ora nuove variabili vengono alla ribalta nella valutazione del progetto, e non tutte oggettive: la soddisfazione del cliente finale, la gestione del rischio, la creazione di valore, ecc.

Sono tutte nuove dimensioni in cui vanno negoziati KPI ad hoc tra PM e suoi stakeholder, dimensioni che richiedono interazione, confronto e fiducia per essere presidiate. Anche perché durante il progetto può modificarsi il suo stesso deliverable, e se questo avviene occorre riallineare progetto e sue metriche senza ulteriori negoziazioni / sprechi di energia.

Il verificarsi di queste situazioni, tutte basate su fatti – non su ipotesi – e concatenate l’una con l’altra, rende necessario e naturale una rapida evoluzione del PM. Questa va sostenuta e accompagnata con semplicità ma anche con scientificità, perché nessuno può improvvisarsi in questo mestiere.

Il profilo di questo nuovo Project manager è infatti profondamente diverso dal passato, e deve padroneggiare nuove metodologie, processi evoluti e sistemi dedicati. Un profilo da ricercare tra talenti in sviluppo e non più nel cimitero degli elefanti, con tratti distintivi che lo portano sicuramente dentro il basket dei “mestieri del futuro”.  

In conclusione, procedendo per gradi, per accelerare il processo di trasformazione occorre anzitutto che:

– Si prenda atto che i cambiamenti di questi anni hanno abbattuto barriere finora di ostacolo ad uno sviluppo vero del “PM”;

– Si sviluppi una pianificazione strategica del Project management che dia contenuti strutturati di alto profilo – senza improvvisazioni o “fai da te” – alla figura professionale ed ai suoi nuovi processi.

Mettere a sistema tutto questo è la sfida che ci aspetta, nella consapevolezza che l’integrazione tra business e Project Management è ormai una ragione necessaria per investire sul tema, ma non sufficiente per avere successo.

 

Filippo Antilici de Martini di Valle Aperta

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