Obiettivi e incentivazione del personale: come creare un sistema efficace ora- Prima parte

I sistemi di compensation legati alla retribuzione variabile sono sempre più sofisticati nel prevedere obiettivi e premi, aggiuntivi rispetto alla retribuzione fissa, che apprezzano il valore generato dalle performance dei lavoratori nell’interesse dell’impresa. La potenza di questi strumenti è tale da incidere profondamente sui comportamenti organizzativi e sui risultati aziendali, ben più di quanto possono tutte le altre leve industriali e gestionali messe insieme.
 
Con buona approssimazione possiamo però dire che nella concreta applicazione di tali strumenti ancora non ci siamo: talvolta le persone sentono poco l’obiettivo incentivato come proprio, in qualche caso lo raggiungono troppo facilmente, in altri lavorano per quello e solo per quello asservendo al premio tutto il proprio impegno, in altri ancora gli obiettivi sono così poco legati al concreto valore atteso dall’azienda da diventare inutili.
 
Altre due comuni distorsioni: gli obiettivi sono troppo spesso di breve termine e non danno respiro alle strategie aziendali di medio-lungo periodo, facendo pericolosamente concentrare le persone solo sul domani, e/o rientrano in sistemi troppo complessi che non permettono ai destinatari di capire bene cosa in concreto si chiede loro. Si generano così mostruosi e paradossali sistemi ad hoc di monitoraggio dell’obiettivo incentivato, più utilizzati perfino dei sistemi di controllo di gestione aziendale.
 
 
Ancora una volta per rimettere ordine in materia occorre muovere dai fondamentali, poiché l’equazione di base è e deve restare semplice: l’obiettivo e il relativo premio sono correlati ad un impegno particolarmente sfidante per la persona che contribuisce a determinare il successo dell’impresa. Se (ri)partiamo da qui, da un concetto forse banale ma nei fatti non rispettato, si arriva all’essenza di ciò che i sistemi di incentivazione devono riconoscere.
 
 
Ma non a tutti, almeno in questi termini. Non ha senso attribuire obiettivi individuali a assistenti, segretarie, impiegati e a quanti altri nel loro dignitosissimo apporto professionale non possono incidere concretamente e direttamente sui risultati d’impresa.
 
Esistono per loro, e più in generale per tutti i lavoratori di un’azienda, altri sistemi di incentivazione non legati alla performance del singolo che sono molto efficaci e di grandissimo valore: così è il revenue sharing, che ridistribuisce ai dipendenti la ricchezza generata dall’impresa, o il premio di risultato, che aggancia alle perfomance di gruppi professionali target specifici i quali, mediati dall’Ebitda aziendale, si traducono in premi per coloro che li raggiungono.
Grandi sistemi, quelli citati, che apprezzano il valore generato ingaggiando le persone in concreto verso una direzione strategica o operativa (utile dell’azienda, tempi di provisioning, credito, customer satisfaction, ecc.) con una implicazione potentissima: quelle persone saranno coinvolte una per una, si sentiranno parte di un progetto e collaboreranno tutte insieme con la necessaria complicità al conseguimento dell’obiettivo definito.
 
 
Tornando ai sistemi di incentivazione individuale, ciò che conta è la definizione più accurata possibile dell’obiettivo al cui raggiungimento scatta il premio. Tale obiettivo deve essere sfidante ma raggiungibile, parte della responsabilità affidata a chi lo deve conseguire, personalizzato rispetto al ruolo agito e alle caratteristiche personali di chi ricopre quel ruolo, misurabile, semplice nella sua declinazione operativa e ben focalizzato rispetto al core business dell’impresa. Di requisiti ne potremmo enunciare molti altri, ma tutti ruotano intorno a quelli di base sopra descritti.
A ciascuno il suo dunque, in modo che il proprio lavoro sia apprezzato per quel “quid pluris” che la persona è in grado di generare e che deve fare la differenza.
Con una particolarità: più si sale lungo la scala gerarchica più è bene che gli obiettivi premino il lungo termine e il valore raggiunto dall’impresa grazie alle strategie messe in campo: non più con il valore delle azioni – laddove si tratti di una società quotata – perché è ormai chiaro che il mercato azionario si muove in base a logiche tutt’affatto differenti rispetto alle performance realizzate e ai risultati aziendali. Meglio allora l’Ebitda, il posizionamento sul mercato a X anni data, il valore dei clienti, il rispetto delle strategie in allora definite, ecc.
Appena si scende un po’ lungo la gerarchia aziendale, il principio secondo cui l’obiettivo deve essere raggiungibile con le proprie forze rende meno immediato lo schema valido per i top manager dell’impresa. Meglio orientarsi su obiettivi direttamente correlati con la responsabilità ricoperta, magari condizionati al raggiungimento di un certo Ebitda (perché se ho fatto il mio in modo eccezionale, ma l’azienda è andata male… non ce n’è per nessuno, sorry). In questo ambito – popolato dai middle manager – è importante tarare con la massima attenzione obiettivi strettamente aderenti al valore richiesto dall’organizzazione alla persona e modularli in modo semplice e chiaro.
Evitando “l’effetto a cascata” per cui quell’obiettivo – costruito per quella persona – diventa (magicamente, non si sa come…) l’obiettivo di tutti coloro che operano in quel team: questo verticistico deployment non va bene perché azzera i contributi individuali, come se si lavorasse solo per il capo e non per l’organizzazione. Meglio allora che sotto il middle manager si definisca un obiettivo comune al team e un altro individuale, rendendo così la persona concentrata sulle proprie performance e su quelle del team. Anche qui, la mediazione con l’Ebitda aziendale ci sta.
Attenzione poi alle possibili deviazioni che su questo piano possono nascere: una struttura di marketing non può essere incentivata sul numero di offerte “lanciate” nell’anno, come ancora avviene, ma deve esserlo sul time to market di quelle offerte e sulla loro redditività. E così via per le altre strutture.
 
Esistono inoltre aree in cui è più difficile attribuire incisivi obiettivi core business, segnatamente quelle di staff il cui contributo è essenziale per il buon funzionamento del sistema aziendale ma è mediato: così audit, legale, compliance, personale, controllo di gestione, ecc. vedono spesso attribuiti obiettivi specifici di linea quasi “solipsistici”, che alimentano solo l’entropia di chi pensa che quel mestiere è il centro del mondo e non a servizio del business. Anche per queste funzioni esistono sicuramente target specifici da apprezzare, ma una diretta correlazione col business è sempre essenziale perché avvicina i destini, e quindi i comportamenti organizzativi che li determinano, tra chi fa business e chi fa supporto. Quest’ultimo, come dice la parola, non primeggia mai, nemmeno in nome di altisonanti richiami alla privacy e alla compliance (temi molto di moda che terrorizzano ingiustificatamente i decisori aziendali): le staff sono pagate per risolvere i problemi e trovare soluzioni, non per burocratizzare il sistema o dar consigli in guanti bianchi.
Questa delle staff può sembrare un’altra storia, ma è invece la prova di quanto si diceva in premessa: obiettivi e incentivi ben tarati muovono l’organizzazione verso lidi comuni più di qualsiasi altro sistema formale.
 
 
Filippo Antilici de Martini di Valle Aperta
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