Dal Cloud sfida all’innovazione digitale

La situazione italiana sullo scenario dell’innovazione non brilla: un Paese "follower", in ritardo nella corsa globale all’innovazione digitale, che si pone al 46° posto nel mondo per spesa ICT su PIL e al 58° per percentuale di utenti connessi. Nel 2011 la spesa italiana in IT ha registrato 17,67 miliardi di euro, in contrazione del 4,1% rispetto al 2010 (dati Assinform). In questo panorama il Cloud potrebbe affermarsi quale opportunità per far ripartire il difficile cammino sulla strada dell’innovazione.

Questo è il richiamo provenuto dal convegno “Cloud Economy: ultima chiamata”, svoltosi lo scorso 28 giugno a Milano, in cui sono stati esposti i dati della ricerca dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service, al secondo anno di attività, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano. La Ricerca, svolta con l’obiettivo di analizzare e spiegare il fenomeno Cloud stimandone entità e trend e chiarendo confini e corretti percorsi di azione, ha coinvolto oltre 130 CIO di grandi imprese italiane e 660 Responsabili IT di PMI. Sono state analizzate oltre 110 iniziative di adozione di Cloud Computing nel panorama delle imprese italiane e approfonditi 20 progetti di particolare rilevanza per individuare e diffondere best practice.

Secondo la Ricerca condotta, se le tecnologie Cloud restano appannaggio delle grandi aziende, queste rappresentano però una possibilità per Imprese e Pubbliche Amministrazioni per accedere alla digitalizzazione saltando i gap, in termini di risorse investite e di competenze, accumulati nell’ambito dell’ICT tradizionale.

“Sebbene si tratti di un valore ancora limitato, i tassi di crescita sono interessanti e stimabili attorno al 25% anno su anno. – ha commentato Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano – Il 54% della spesa è riconducibile al cosiddetto Private Cloud, con un valore di circa 240 milioni di Euro e pari all’1,36% del budget IT, mentre la componente di spesa legata al Public Cloud è stimabile in 203 milioni di Euro”.

Secondo Alessandro Piva, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service: “Il 67% delle grandi aziende adotti già tecnologie Cloud. In particolare il 56% utilizza almeno un servizio Cloud, mentre l’11% ha in corso limitate sperimentazioni. Il 25% si è dichiarato interessato all’introduzione e solo l’8% dichiara di non utilizzare il Cloud e di non avere alcun interesse a introdurlo. Diverso, invece, è lo scenario di adozione per le imprese sotto i 250 addetti, tra le quali solo il 22% dichiara di avere avviato progetti Cloud, il 2% intende introdurli e il 76% non ne fa utilizzo. Tra le aziende che non hanno avviato progetti Cloud, solo il 6% dichiara un interesse, il 60% non ne dimostra alcuno e il 10% dichiara di non conoscere tali tecnologie”.

Tra i due modelli Private e Public nelle grandi aziende, il primo risulta avere percentuali di diffusione lievemente superiori rispetto al secondo: il Private, infatti, viene utilizzato dal 48% delle aziende e sperimentato dal 13% di esse, mentre il Public viene adottato dal 41% delle aziende e sperimentato nell’8% di esse. Risultano comunque importanti le percentuali di interesse all’introduzione dei due modelli, del 29% per il modello Private e del 22% per il Public.

Anche tra le PMI il modello Private presenta percentuali di diffusione superiori (17% in fase di utilizzo, 1% interesse all’adozione) rispetto al Public (5% in fase di utilizzo, 1% interesse all’adozione).

I benefici derivanti dall’adozione di modelli Cloud si dimostrano rilevanti, non solo in termini di risparmio economico, ma anche per quanto concerne scalabilità del servizio; riduzione di complessità gestionale dei Data Center e dei sistemi applicativi; riduzione degli investimenti richiesti a parità di soluzioni implementate; maggiore flessibilità e tempestività nel far fronte alle richieste delle Line of Business; continuità di servizio, sicurezza e affidabilità dei sistemi; misurabilità e controllabilità dei costi: i servizi di Public Cloud, disponibili on demand e pagati secondo la logica del pay-per-use, permettono di ridurre le risorse sprecate; possibilità di avere funzionalità costantemente aggiornate.

Tra le barriere che ne frenano l’adozione troviamo la difficoltà di integrazione con l’infrastruttura già presente in azienda, l’immaturità dell’offerta e dei servizi, i problemi legati alla compliance normativa, la difficoltà nel quantificare costi e benefici derivanti dal ricorso alla modalità di erogazione as a Service e la criticità nell’implementare efficaci processi di controllo e misurazione per presidiare i livelli di servizio interni e del fornitore.

L’indisponibilità dell’infrastruttura di rete e alcuni timori relativi ad aspetti di sicurezza e privacy evidenziati dalle aziende che utilizzano servizi di tipo Public, risultano poi essere falsi miti: secondo i CIO, infatti, con modelli di Public Cloud si registrano minori casi di perdita di dati rispetto alla precedente soluzione presente in azienda e, in generale, vi è una maggiore continuità di erogazione del servizio. Per quanto riguarda invece lo sviluppo del Cloud, le barriere non sono percepite a livello organizzativo e interno della Direzione IT, quanto piuttosto a livello tecnologico ed esterno.

“Analizzando in modo approfondito le iniziative Cloud condotte dalle aziende italiane – ha commentato Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano – ci si accorge che il primo passo eseguito è generalmente nella realizzazione di un Cloud Privato. Ciò comporta una decisa accelerazione del percorso di virtualizzazione eseguito negli ultimi anni, per giungere ad una razionalizzazione e automazione dei Data Center. Questo percorso è solitamente motivato dall’obiettivo di ottenimento di significativi risparmi, ma può essere considerato pressoché confinato ad un’evoluzione tecnologica, senza comportare quindi significativi cambiamenti nella modalità di realizzare e governare i Sistemi Informativi”.

Se il mercato dell’offerta è in assestamento e molti sono i percorsi possibili per affrontare il Cloud, ci si chiede quale sia la strada giusta per un’azienda, privata o pubblica. E se la risposta non è ovviamente univoca, ci si chiede anche quanto costi questo ritardo al nostro Paese. Il mercato Cloud Computing per il 2012 è stimabile in 443 milioni di Euro, pari al 2,5% di tutta la spesa IT sostenuta in Italia: poco per invertire la rotta di un’Italia digitale ferma, anche se il tasso di crescita, attorno al 25% anno su anno, e i benefici conseguiti, attorno al 15% in termini di riduzione del TCO, possono far sperare. Il Cloud può comportare un risparmio cumulato entro il 2015 di circa 450 milioni di Euro, risparmio che potrebbe essere portato fino ad un Miliardo se si adottassero le migliori pratiche e ci si portasse a livelli di adozioni analoghi a quelli dei Paesi leader.

Anche solo dal punto di vista dei risparmi, si tratta di vantaggi da non trascurare, risorse che potrebbero essere utilmente rimesse in circolo per l’innovazione. La Cloud Economy chiama.

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