Finanza derivata ed Enti territoriali. Evoluzione normativa, correttivi e prospettive.

 

Alessandro Biamonte

Finanza derivata ed Enti territoriali.

Evoluzione normativa, correttivi e prospettive.

 

1. Riflessioni preliminari ed evoluzione normativa in tema di finanza derivata.

1.1. L’evoluzione, negli ultimi quattro lustri, in termini di sedimentazione dei nuovi assetti istituzionali degli Enti territoriali (inseriti nel rinnovato contesto nazionale ed europeo), si è accompagnata alla parabola ascendente, e poi discendente, che ha caratterizzato il ricorso agli strumenti di finanza derivata – oggi in fase di flessione in ragione di una normativa sempre più stringente – .

Con il D.L. 10 ottobre 2012 n. 174 (convertito in L. 7.12.2012 n. 213),  le modalità dei controlli della Corte dei Conti, fissate dalla L. n. 266/2005 per gli Enti locali, sono state estese anche alle Regioni: di qui l’adozione dei linee guida da parte della Sezione delle Autonomie per le relazioni dei revisori dei conti delle Regioni sui bilanci di previsione e sui rendiconti regionali.

La legge 27 dicembre 2013 n. 147, recante la legge di stabilità per l’anno 2014, ha sensibilmente innovato la materia del ricorso ad operazioni in strumenti finanziari derivati da parte degli Enti territoriali.

1.2. Il percorso è articolato e affonda le radici nell’art. 62 del DL 25 giugno 2008 n. 112 (conv. in L. 6.8.2008 n. 133), che, ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica e nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica previsti agli articoli 119 e 120 della Costituzione, aveva vietato alle Regioni, alle Province autonome di Trento e Bolzano ed agli enti locali di stipulare contratti relativi a strumenti finanziari derivati, nonché di ricorrere all’indebitamento attraverso contratti che non prevedevano modalità di rimborso mediante rate di ammortamento comprensive di capitale e interessi, fino all’entrata in vigore di un regolamento del MEF che doveva individuare la tipologia dei contratti relativi a strumenti finanziari derivati consentiti per tali enti e comunque per il periodo di un anno decorrente dalla data di entrata in vigore del decreto stesso.

L’art. 1, comma 572 della legge di stabilità per il 2014 ha poi introdotto modifiche all’art. 62, ampliando l’applicazione della normativa in materia di contenimento dell’uso degli strumenti derivati e dell’indebitamento.

In primo luogo, la soppressione del riferimento all’entrata in vigore di un apposito regolamento del MEF che, sentite la Banca d’Italia e la Commissione nazionale per le società e la borsa, avrebbe dovuto individuare i contratti di finanza derivata e le componenti derivate, implicite o esplicite, a cui gli Enti potevano accedere, attribuisce al divieto natura permanente e non più limitata nel tempo.

1.3. Attualmente, il comma 3 dell’art. 62 del DL n. 112/2008, come sostituito dal comma 572 della legge di stabilità 2014, statuisce il divieto: a) di stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati previsti dall’art. 1, comma 3, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58; b) di procedere alla rinegoziazione dei contratti derivati già in essere alla data di entrata in vigore della legge di stabilità; c) di stipulare contratti di finanziamento che includono componenti derivate.

1.4. La legge di stabilità 2014 amplia, inoltre, il novero degli Enti destinatari dei divieti posto che include, oltre alle Regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, tutti gli enti   locali   così   come   definiti   dall’art.   2   del   Dlgs. 267/2000   (Comuni,   Province,   Città Metropolitane, Comunità Montane, Comunità Isolane ed Unioni di Comuni).

1.5. Il  divieto  di  ricorrere  ad  operazioni  di  finanza  derivata  posto  in  via  generale  e permanente dal predetto comma 3 del novellato art. 62 del citato DL n. 112/2008 trova, tuttavia, una serie di eccezioni normativamente individuate dai successivi commi 3-bis, 3-ter e 3-quater introdotti dalla legge di stabilità 2014. Dal divieto risultano, quindi, escluse:

  1. a) le estinzioni anticipate totali dei contratti relativi agli strumenti finanziari derivati;
  2. b) le riassegnazioni dei medesimi contratti a controparti diverse dalle originarie, nella forma di novazioni soggettive, senza che vengano modificati i termini e le condizioni finanziarie dei contratti riassegnati;
  3. c) le ristrutturazioni dei contratti derivati a seguito di modifica della passività alla quale i medesimi contratti sono riferiti, esclusivamente nella forma di operazioni prive di componenti opzionali e volte alla trasformazione da tasso fisso a variabile o viceversa aventi la finalità  di  mantenere  la  corrispondenza  tra  la  passività  rinegoziata  e  la collegata operazione di copertura;
  4. d) i contratti di finanziamento che includono l’acquisto di cap da parte dell’Ente (ar 62, comma 3-bis)[1].

1.6. Le deroghe previste dalla legge di stabilità 2014 contemplano anche la facoltà per gli Enti di procedere alla cancellazione, dai contratti derivati esistenti, di eventuali clausole di risoluzione anticipata, mediante regolamento per cassa nell’esercizio di riferimento del relativo saldo (comma 3-ter), nonché la facoltà per gli Enti di procedere alla cancellazione,  dai  contratti  derivati  esistenti,  di  componenti  opzionali diverse  dalla opzione cap  di  cui  gli  Enti  siano  stati  acquirenti,  mediante regolamento  per cassa nell’esercizio di riferimento del relativo saldo (art. 62, comma 3-quater).

Inoltre, l’art. 1, comma 537, della legge 23 dicembre 2014 n. 190, recante la legge di stabilità 2015, chiarisce, in relazione al secondo periodo del comma 2 del citato art. 62 del DL n. 112/2008, limitatamente agli Enti locali, che la durata delle operazioni di rinegoziazione, relative a passività esistenti già oggetto di rinegoziazione, non può essere superiore a trenta anni dalla data del loro perfezionamento.

1.7. In tale complessivo contesto dell’evoluzione normativa nazionale, occorre  poi richiamare il Regolamento dell’Unione Europea n. 648/2012 del 4 luglio 2012 – EMIR (European Market Infrastructure Regulation) il cui fine è da rinvenire nella ricerca delle condizioni volte all’attenuazione  dei rischi e all’affermazione di un principio di trasparenza dei contratti derivati, prevedendo che che tutte le transazioni finanziarie eseguite su prodotti derivati sia OTC (Over the Counter) sia quotati su mercati regolamentati (Exchange Trade Derivatives), debbano essere segnalate a repertori di dati centrali certificati dall’Autorità di Vigilanza Europea sui mercati Finanziari (ESMA).

Per ciò che attiene all’assoggettamento degli enti locali (municipality) al regolamento EMIR, il Dipartimento del Tesoro ha comunicato alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, sulla base dei chiarimenti forniti dalla Commissione europea, in data 18 dicembre 2013, che gli Enti locali non ricadrebbero nell’ambito di applicazione del regolamento poiché dovrebbero rientrare nella nozione di “Enti pubblici dell’Unione incaricati  della  gestione  del  debito  pubblico  sovrano  e  che  intervengono  nella medesima” e pertanto il regolamento EMIR non deve ritenersi applicabile agli Enti locali italiani, trattandosi di Amministrazioni pubbliche che hanno stipulato contratti in strumenti  finanziari  derivati  limitatamente  all’attività  istituzionale  di  gestione  del proprio debito pubblico.

 

2. I rinnovati principi di armonizzazione contabile

2.1. Il principio in materia di contabilità finanziaria contenuto nell’allegato n. 4/2 al d.lgs. 23 giugno 2011 n. 118 (mod. dal d.lgs. 10 agosto 2014 n. 126) finalizzato all’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli Enti locali e dei loro organismi, dedica un preciso punto (3.23) alla rilevazione dei flussi finanziari conseguenti all’esistenza di contratti derivati, alle ipotesi di sottoscrizione di  contratti derivati da ammortamento di debiti caratterizzati da un’unica scadenza e alle estinzioni anticipate di contratti derivati.

Ciò postula che la rilevazione dei flussi finanziari in relazione al sottostante indebitamento debba avvenire nel rispetto del principio dell’integrità del bilancio; ne consegue la necessaria separata contabilizzazione dei flussi finanziari relativi al debito originario rispetto ai saldi differenziali attivi o passivi rilevati in bilancio a seguito del contratto derivato.

La  regolazione  annuale  dei  flussi  che  hanno  natura  di  soli  interessi  è  rilevata rispettivamente, per l’entrata, nel titolo III e, per la spesa, nel titolo I del bilancio. L’eventuale   differenza   positiva   costituisce   una   quota   vincolata   dell’avanzo   di amministrazione, destinata, secondo il seguente ordine di priorità, a garantire i rischi futuri del contratto, alla riduzione del debito sottostante in caso di estinzione anticipata, al finanziamento di investimenti.

2.2. Il nuovo principio contabile ribadisce, inoltre, che gli eventuali flussi in entrata “una tantum”, conseguenti alla rimodulazione temporale o alla ridefinizione delle condizioni di ammortamento di un debito sottostante, – i cosiddetti “upfront” derivanti dalle operazioni di cui all’art. 3, lettera f) del d.m. n. 389/2003, in conseguenza della loro assimilazione ad indebitamento prevista dall’art. 3, comma 17, della legge n. 350 del 2003 – devono essere contabilizzati tra le accensioni di prestiti nel titolo VI delle entrate.

La regolazione annuale degli altri flussi riguardanti contratti derivati che non hanno natura di interessi, ma prevedono l’ammortamento di un finanziamento, deve essere rilevata nel titolo III della spesa concernente le spese per incremento di attività finanziarie.

2.3. Sono queste le fattispecie inerenti le emissioni di prestiti obbligazionari (BOC, BOP e BOR) in formato “bullet” che prevedono il rimborso del capitale in un’unica soluzione alla scadenza2 e che comportano, oltre alle spese per interessi passivi sul debito originario e interessi attivi o passivi sul contratto derivato connesso al prestito, anche le spese per l’ammortamento del bullet ovvero per l’accantonamento di un capitale per il rimborso alla scadenza del prestito. 

2.3.1. Il nuovo principio contabile allegato al d. lgs. n. 118/2011 si sofferma anche sulle ipotesi di estinzione anticipata dei contratti di finanza derivata e chiarisce che la somma ricevuta  o  pagata,  corrispondente  al  valore  di  mercato  rispettivamente  positivo  o negativo che il derivato presenta al momento della risoluzione (cd. mark to market), ha la stessa natura dei flussi netti originati periodicamente dallo stesso e, pertanto,   è imputata, in caso di valore positivo, nel titolo III delle entrate (entrate extra-tributarie) e, in caso di valore negativo, nel titolo I delle spese (spese correnti).

2.3.2. Nel caso di mark to market positivo, la somma ricevuta dell’Ente può essere destinata all’estinzione anticipata di altri derivati detenuti dall’Ente o ad estinguere prioritariamente il debito relativo al mutuo o al buono obbligazionario a copertura del quale era stato perfezionato il derivato oggetto di estinzione anticipata.

2.4. Qualora, dopo aver estinto tutti i debiti coperti da strumenti finanziari derivati e dopo avere estinto tutti i collegati contratti derivati, residui una quota positiva di mark to market, quest’ultima è destinata alla riduzione dell’indebitamento generale dell’Ente. L’impostazione accolta dal nuovo principio contabile è, quindi, diretta ad impedire che eventuali  valori  positivi  conseguiti  all’atto  dell’estinzione  dei  contratti  di  finanza derivata siano finalizzati a spesa corrente.

 

3. Le stime. Il valore nozionale dei derivati e il mark to market.

3.1. Secondo le stime ufficiali, a fine 2014, il “valore nozionale” degli strumenti derivati su debito ammontava, in Italia, a circa 160 miliardi (pari a quasi il 9 per cento sul totale dei titoli di Stato in circolazione), mentre il valore di mercato (il c.d. “mark to market”) segnava una perdita potenziale di circa 42 miliardi. Tale valore negativo individua l’onere che lo Stato italiano avrebbe sostenuto nell’ipotesi, teorica che i contratti su derivati in essere fossero stati estinti anticipatamente alla fine dello scorso anno. La rapida crescita di questa perdita potenziale, che si è registrata negli ultimi tempi, deve essere attribuita alla contestuale discesa dei tassi d’interesse e al deprezzamento dell’euro rispetto ai livelli massimi che si collocano nel 2008.

3.2. Se le perdite potenziali sui derivati diventano effettive solo nel caso che il contratto venga estinto, la situazione è diversa laddove sussistano clausole di estinzione anticipata (la più gravosa e più nota riguarda il contratto con la banca d’affari Morgan Stanley che, avvalendosene, ha determinato un aggravio effettivo del bilancio statale, per un costo complessivo di 3,1 miliardi, versati in due rate all’inizio del 2012).

Secondo informazioni rese dal MEF nel corso di questo ciclo di audizioni, il mark-to-market dei derivati con valore di mercato negativo e che prevedono clausole di recesso anticipato è pari a circa 9 miliardi.

3.3. A fronte dei circa 160 miliardi del portafoglio degli strumenti derivati dello Stato, all’inizio del 2015 il valore nozionale dei contratti su derivati degli Enti territoriali, pur se significativo nei riflessi sui relativi equilibri di gestione, sarebbe di poco inferiore ai 25 miliardi, il 60 per cento dei quali imputabili ai contratti sottoscritti da Regioni e Province autonome, ma l’incidenza sullo stock di debito è più elevata (circa il 28 per cento nelle Regioni e il 20 per cento negli Enti locali, a fronte di un debito complessivo, rispettivamente, di 52,77 e 54,49 miliardi di euro nel 2013).

3.4. Il ricorso a contratti derivati da parte dell’Amministrazione centrale, già avviato negli anni ottanta (ai fini della copertura dai rischi di cambio) sia cresciuto considerevolmente dalla metà degli anni novanta, quando lo scopo principale era diventato l’assicurazione dal rischio di un rialzo dei tassi d’interesse, in una fase molto delicata di avvio dell’Unione Monetaria europea e dell’euro.

3.5. Tra la fine degli anni novanta e l’inizio dello scorso decennio si colloca, invece, l’impiego su vasta scala degli strumenti derivati da parte delle Amministrazioni locali, destinatarie,  nell’ottica  del  decentramento  territoriale,  di  compiti  in  espansione  nel mentre le regole di coordinamento della finanza pubblica si facevano più stringenti. Anche da qui il sempre più intenso ricorso agli strumenti derivati,con l’obiettivo di stabilizzare l’effetto delle oscillazioni dei tassi e di consentire un allungamento della durata del debito; in qualche caso anche di incassare upfront.

3.6. La legge n. 20/1994, all’art. 3, disciplina (co. 1) il controllo preventivo di legittimità esercitato  dalla Corte dei  conti.  L’ultimo  comma del  medesimo  articolo esclude  esplicitamente  da  detto  controllo  “gli  atti  e  i  provvedimenti  emanati  nelle materie monetaria, creditizia, mobiliare e valutaria”. In base a siffatta disposizione, sono sempre stati esclusi dal predetto controllo preventivo gli atti che abbiano come oggetto la gestione del debito pubblico, ivi inclusi quelli che si sostanziano in contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati.

3.7. Tale norma va inquadrata nell’ambito della più generale disciplina che, ratione temporis, sovrintendeva in materia: il d.lgs. n. 385 del 1993 (noto come Testo Unico Bancario – TUB) all’art. 129 aveva categorizzato il regime dei controlli sulla emissione di valori mobiliari (prima disperso in numerose norme), imponendo a carico degli emittenti un obbligo di comunicazione preventiva alla Banca d’Italia la quale, in conformità  alle  deliberazioni  del  Comitato  Interministeriale  per  il  Credito  e  il Risparmio,  avrebbe potuto  vietare le operazioni  ovvero  disporne il  differimento.  Il medesimo articolo aveva esplicitamente escluso da tale obbligo di comunicazione preventiva, fra le altre, le operazioni relative alla emissione di titoli di Stato o garantiti dallo Stato (comma 5).

3.8. Da quel momento la disciplina ha subito reiterate modifiche; nel testo oggi vigente, l’art. 129 del Testo Unico Bancario attribuisce alla Banca d’Italia esclusivamente il potere di richiedere agli emittenti di strumenti finanziari «segnalazioni periodiche e informazioni di carattere consuntivo… al fine di acquisire elementi conoscitivi sull’evoluzione dei prodotti e dei mercati finanziari».

3.9. Si delinea quindi un esplicito orientamento del legislatore finalizzato all’esclusione dal regime dei controlli preventivi la materia degli strumenti finanziari, in relazione alle esigenze di correntezza e di rapidità che la caratterizzano; ribadisce il ruolo di una specifica autorità di settore – la Banca d’Italia – preposta al controllo della materia; attribuisce uno statuto speciale alle operazioni aventi ad oggetto la gestione del debito pubblico, fin dalla versione originaria del TUB del 1993 esentate da ogni controllo preventivo, anche ad opera della autorità di settore.

3.10. In tale contesdto si inserisce il decreto del Ministro del tesoro del 10 novembre 1995, successivo al momento nel quale la materia relativa alla gestione del debito pubblico era stata esclusa dal controllo preventivo della Banca d’Italia (art. 129, co. 5, lett. a del TUB) nonché dal controllo preventivo della Corte dei conti (art. 3, co. 13, legge 20/1994). Con tale decreto il Ministro delineava gli «orientamenti operativi di riferimento  in  merito  all’emissione e alla gestione del  debito  pubblico» (anche,  ad esempio, relativi alla stipula di operazioni di swap) e poneva a carico della Direzione generale del tesoro l’obbligo di trasmettere «con cadenza semestrale alla Corte dei conti … una relazione sulla gestione delle passività del Tesoro che evidenzi la congruità delle scelte  effettuate  con  gli  orientamenti  esposti  nell’art.  1  e  nell’art.  2  del  presente decreto».

 

4. Le indagini conoscitive della Corte dei Conti.

4.1. Il dichiamato D.M. del 1995 prevede che sia inviata alla Corte dei conti, per finalità conoscitive, una Relazione semestrale che sintetizzi le operazioni di gestione del debito pubblico intervenute nel periodo considerato.

4.2. Da qualche anno gli stessi documenti programmatici del Governo in materia di finanza pubblica (DEF) tratteggiano il quadro generale della gestione del debito, ai fini dell’approvazione da parte del Parlamento degli obiettivi di politica economica e finanziaria e del successivo invio della decisione alla Commissione europea entro il 30 aprile.

4.3. Nel complesso le Relazioni semestrali evidenziano la preoccupazione – nella gestione delle varie operazioni di debito – di riduzione sia del carico di interessi a valere sul bilancio dello Stato, sia dei rischi che possono nascere dagli interventi   attuati   nella   gestione   del   debito.  Ciò implica  reiterate rinegoziazioni, ristrutturazioni e chiusure di operazioni in essere (laddove ciò sia consentito dalle clausole sottoscritte per i vari contratti).

4.4. Il quadro delineato è caratterizzato da una liability management attiva: in presenza di aspettative di tassi in crescita per effetto delle più rosse prospettive dell’economia (2006) si sono liquidate operazioni per incassare il beneficio che si andava creando, mediante operazioni di interest rate swap gestite per beneficiare del mark-to- market positivo. In un tale contesto è stato altresì perseguito l’intento di proseguire nell’attività di allungamento della duration e dell’immunizzazione del portafoglio dal rialzo dei tassi d’interesse.

Di qui  una  gestione  delle  posizioni  in  essere  nel  portafoglio  derivati  che consente di trarre benefizio dalla conformazione della curva dei tassi d’interesse e dal livello assoluto della volatilità.

4.5. Quando nel 2008 sono emerse situazioni di acuta crisi (v. fallimento di Lehman Brothers, con conseguenze  devastanti  sul  mercato  dei  capitali),  il  Ministero dell’Economia e delle Finanze  si  è  concentrato  sulla necessità di individuare le modalità più efficienti di gestione delle transazioni sotto il triplice profilo legale, finanziario ed economico, in alcuni casi cedendo le attività ad una controparte solida ed affidabile (senza costi), in altri casi provvedendo a chiusura anticipata.

4.6. In contesti di elevata volatilità ed incertezza dei mercati, l’attività di gestione delle passività ha privilegiato l’ottimizzazione di alcune posizioni esistenti nel portafoglio swap, tenendo conto della loro indicizzazione all’inflazione europea.

4.7. A fare data dal 2010 si è proceduto alla ristrutturazione di una serie di posizioni su derivati che non rispondevano più in modo efficiente agli obiettivi strategici per i quali esse erano state concluse, procedendo ad una semplificazione della posizione e ad un allungamento  della  relativa  duration.  Si  è  dato luogo anche alla  copertura  delle  emissioni denominate in valuta estera per eliminare rischi di cambio e d’interesse. Successivamente, si è perseguito l’obiettivo di ridurre il rischio di controparte implicito nelle operazioni di copertura esistenti.

4.8. In conclusione, si è cercato di distribuire l’esposizione tra le diverse componenti attraverso la riassegnazione di posizioni e si è proceduto alla riduzione della durata di alcune posizioni.

Nel 2012 – sempre sulla base di quanto riferito dal Ministero dell’economia e delle finanze nelle suddette Relazioni semestrali – la ridefinizione del portafoglio con Morgan Stanley è stata condizionata dalla presenza di una clausola contrattuale «peculiare e unica nella sua natura», ovverosia «il diritto alla risoluzione anticipata dei contratti derivati (in parte o in toto) al verificarsi di una determinato evento, configurato nel superamento di   un   limite   prestabilito   dell’esposizione   della   controparte   nei   confronti   della Repubblica, definito anche in funzione del livello di rating». La controparte aveva deciso di far valere il diritto regolato dalla clausola, in quanto era stata giudicata insostenibile la rilevante esposizione nei confronti dell’Italia alla luce della regolamentazione sempre più stringente. Per far fronte alla richiesta, sulla base delle procedure concordate, vi erano alcune possibilità.

Esse consistevano nella «novazione soggettiva del contratto a controparte terza», nella «prestazione di una garanzia (collateral)» e nella «risoluzione anticipata di una o più posizioni in derivati».

Essendo state scartate le varie possibilità per le difficoltà riscontrate,  «ci si è concentrati sulla valutazione delle conseguenze dell’esercizio diretto della clausola, analizzando in particolare  la  metodologia  di  determinazione  dell’ammontare  da  corrispondere  a Morgan Stanley a fronte della chiusura di tutte le posizioni, come prevista dall’accordo in vigore».

Considerato il ragguardevole onere conseguente all’esercizio diretto della clausola «ci si è orientati verso una chiusura anticipata e volontaria delle quattro operazioni», «accettando contestualmente la ristrutturazione di due Cross Currency Swap, proposta da Morgan Stanley». «Il costo complessivo versato a Morgan Stanley il 3 gennaio 2012, relativo alla prima fase della ristrutturazione inclusiva dei CCS, è stato di poco inferiore ai 2,6 miliardi…e pari a circa 527 milioni nella seconda fase».

Sono proseguite negli anni successivi operazioni di ristrutturazioni di posizioni esistenti, anche per trarre vantaggio dall’andamento del tasso di cambio, nonché la gestione di posizioni in portafoglio che presentavano alcune criticità.

 

5. Contabilità finanziaria. Profili.

5.1. Per ciò che attiene allo Stato, la vigente legge quadro di contabilità e finanza pubblica, n. 196 del 2009 e successive integrazioni e modifiche, ha confermato il precedente sistema di contabilità finanziaria, con il doppio vincolo della competenza giuridica (obbligazioni) e della cassa (o flussi finanziari); il sistema è stato, in sostanza, elevato a rango costituzionale dalla legge n. 243 del 2012 (legge rinforzata), che ha adeguato il nostro  ordinamento  contabile alle modifiche costituzionali  intervenute con  la legge costituzionale n. 1 del 2012, recante l’introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale.

In ordine all’imputazione contabile va osservato che gli effetti finanziari  ordinari dovuti alle attività   in strumenti finanziari derivati, quali ad esempio i flussi netti attivi o passivi per introito o pagamento di interessi, sono contabilizzati nelle apposite voci del bilancio di previsione e del rendiconto finanziario dello Stato.

5.2. Per quanto rileva, invece, in termini di copertura delle eventuali partite straordinarie la legge quadro vigente, tuttora in attesa di un complessivo e organico adeguamento al mutato assetto costituzionale, prevede l’iscrizione in bilancio di specifici fondi di riserva per le spese obbligatorie, individuate in un elenco allegato allo stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze (art. 26) e per le spese impreviste, per far fronte ad eventuali deficienze di stanziamenti non inseriti tra le spese obbligatorie e non aventi carattere di continuità, anch’esse indicate per tipologia in un elenco allegato allo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (art. 28).

5.3. Nel caso degli oneri connessi con i derivati, per effetto dell’imprevista richiesta di applicazione nel 2011 della clausola di chiusura anticipata da parte di Morgan Stanley, nell’esercizio di un esplicito potere opzionale previsto nel relativo contratto, è stato fatto ricorso agli ordinari strumenti di flessibilità del bilancio con cui le Amministrazioni possono modificare in via amministrativa l’allocazione delle risorse decisa dal Parlamento, non essendosi ravvisata l’esigenza di utilizzare il fondo di riserva per le spese obbligatorie, considerate le disponibilità createsi su altri capitoli del programma “oneri per il servizio del debito” in relazione all’effettivo andamento dei mercati finanziari.

Va notato, in proposito, che viene costantemente seguito, dal competente dipartimento del Tesoro del Ministero dell’economia e delle finanze, un criterio ispirato alla prudenza nella quantificazione degli interessi e delle altre spese per la gestione del debito, commisurando conseguentemente, in misura compatibile col peggior prevedibile andamento dei mercati, le richieste al dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, in sede di formazione del bilancio.

5.4. Ciò ha comportato, nel caso della chiusura anticipata del contratto con Morgan Stanley, l’emissione del decreto ministeriale di variazione al bilancio n. 9731 del 14 marzo 2012, ai sensi dell’art. 2, comma 6, della legge di bilancio per il 2012 e il triennio 2012-2014 n. 184 del 2011, che autorizza il Ministro ad effettuare variazioni compensative, per competenza e cassa, delle somme iscritte nell’indicato programma 1 della missione 34. Con tale decreto, il capitolo n. 2219, relativo a “Interessi su prestiti internazionali, interessi derivanti da operazioni di ristrutturazione di prestiti emessi all’interno e all’estero, nonché da operazioni di chiusura anticipata di operazioni derivate”, è stato incrementato di 2,84 miliardi, contestualmente riducendo di 2 miliardi il capitolo 2214 (Interessi sui BTP e su operazioni finanziarie effettuate sui buoni medesimi) e di 840 milioni il capitolo 2218 (fondo occorrente per far fronte agli oneri per interessi e altre spese  connessi  alle  operazioni  di  ricorso  al  mercato).  Naturalmente,  l’atto  è  stato emanato  previa  conferma,  da  parte  del  competente  dipartimento,  dell’esistenza  di disponibilità residue sufficienti a fronteggiare le esigenze del capitolo 2214, mentre l’altro capitolo 2218 riveste la natura di specifico fondo di riserva dedicato.

 

6. Profili di criticità e risultante dell’esercizio della giurisdizione contabile in sede di controllo.

6.1. Con riferimento agli strumenti di finanza derivata in essere, il dato più rilevante, in disparte ogni riflessione in ordine all’entità e alla ricorrenza dei flussi negativi prodotti dai medesimi, è costituito dalla mancata costituzione di un fondo diretto a garantire l’ente dall’impatto sui futuri bilanci degli esborsi determinati da tali contratti.

In generale, dovendo considerare i differenziali annuali dei flussi degli ultimi anni e le prospettive rappresentate non può non rilevarsi un vulnus, anche se solo potenziale, per gli equilibri di bilancio, da affrontare opportunamente con ogni misura ritenuta idonea da parte dell’ente.

6.2. Con riferimento ai più recenti orientamenti (cfr. Corte dei Conti, Liguria, Sez. Controllo, delibera 26.1.2018 n. 7), oggetto degli odierni rilievi non é tanto l’an, e cioè la scelta di coprire i rischi derivanti dalla ristrutturazione del debito, passando dalla diversa computazione degli interessi dovuti sul medesimo da tassi fissi a variabili, con strumenti finanziari derivati (scelta in sé positiva e, in un certo senso, dovuta in conseguenza della notevole discesa dei tassi di interesse che si ebbe dopo l’entrata in vigore della moneta unica)  quanto il quomodo, e cioè, in particolare, le modalità poste in essere prima, durante e dopo la conclusione degli undici contratti interest rate swap.

6.3. Uno dei profili di maggiore criticità è emerso in relazione alla mancata ricezione – da parte degli Enti –  delle comunicazioni del “mark to market” al momento della conclusione dei vari strumenti finanziari e alla scelta di avere, nel corso degli anni, monitorato l’andamento dei medesimi, valutando solo nel 2016 la possibilità di dismetterli. Ciò in quanto ha ritenuto, come scelta discrezionale, preferibile non finanziare la chiusura anticipata dei medesimi, diversamente optando per il pagamento dei flussi dilazionato nel tempo,

6.4. Altro profilo censurabile risiede nell’assenza di distinzione tra la figura dell’Advisor (che ha il compito di suggerire il modello più conveniente di ristrutturazione del debito) e l’Arranger (controparte, aggiudicataria del contratto pubblico), una fungibilità di ruoli tra due figure, che spesso gli enti pubblici tendono a sovrapporre e ad identificare, specificamente stigmatizzata dalle Sezioni riunite della Corte dei conti in sede di controllo, le quali hanno precisato che, in tutti i casi in cui un ente non disponga al suo interno di adeguate conoscenze in ordine ai mercati finanziari e alle molteplici modalità di svolgimento di operazioni finanziarie particolarmente complesse, «è opportuno che [il medesimo] proceda alla selezione, mediante procedura di evidenza pubblica, di un advisor dotato di particolare competenza finanziaria» il quale decida il contenuto e la tipologia dell’operazione di copertura, per poi procedere, solo in un secondo momento, ad una distinta gara per la scelta dell’intermediario finanziario con cui concludere l’operazione. Pertanto, «considerata la sicura competenza in materia finanziaria dell’intermediario finanziario con il quale l’ente intende concludere l’operazione e la particolare natura ed entità degli interessi in gioco, occorre che la posizione dell’Advisor e quella dell’operatore finanziario vengano distinte nettamente, anche al fine di evitare possibili conflitti di interesse», rilevando che «sicuramente non risponde alla sana gestione finanziaria dell’ente la scelta di un advisor che studi e predisponga uno specifico intervento e che poi venga incaricato di realizzare l’operazione».

6.5. In casi specifici (v. Corte dei Conti, delibera 7/2018), la scelta di un consulente indipendente in questo è da ritenersi ancora più essenziale allorquando l’analisi dei contratti stipulati ha evidenziato situazioni disarmanti ai danni degli Enti pubblici: frequente la situazione in cui la controparte abbia venduto, qualificandoli come semplici interest rate swap (e cioè uno swap con tasso di interesse)  i ben diversi swap collar[2], caratterizzati da alto livello di rischio e con effetti suscettibili di forte sbilanciamento in favore di una precisa direzione (istituto di credito) in ordine all’andamento del rischio negoziale.

In breve, non di rado, ha inciso in termini negativi la mancanza di una struttura che assumesse su di sé il compito di individuare autonomamente oggetto e tipo di operazione economica da porre in essere, valutando poi nell’esclusivo interesse del Comune la specificità dell’offerta e l’effettiva opportunità e convenienza di operare una scelta piuttosto dell’altra.

6.6. Lo swap collar è un contratto misto che realizza la sintesi tra i due diversi interest rate floor e interest rate cap, pervenendo alla creazione di una sorta di cuscinetto o “corridoio” (il collar, appunto) nel cui interno non ha luogo alcuna liquidazione tra le parti, a differenza di quanto accade qualora il tasso di riferimento si trovi al di sopra o al di sotto della banda di oscillazione convenzionale.

Il collar swap, costituendo la risultante di due diversi contratti (l’interest rate floor e l’interest rate cap) presuppone la consapevole utilizzazione di strumenti di convenienza economica e che, comunque, presenti sempre il rischio costituito dal mancato beneficio in caso di futura discesa dei tassi sotto il livello strike del floor (come si è poi verificato nella realtà dei fatti), al punto da essere normalmente consigliato ai soli operatori che abbiano già un’accentuata dimestichezza con gli strumenti derivati.

6.7. Dal momento che la contrattazione in derivati over the counter, quali sono gli swap collar, reca in sé un naturale stato di conflittualità tra cliente e intermediario, riconducibile alla sovrapposizione, nel medesimo soggetto, della qualità di offerente e di consulente, si rende ulteriormente necessario (così come ribadito dalla giurisprudenza di merito Trib. Milano 11.11.2015, n. 11303),  che quest’ultimo proponga un prodotto adeguato alle esigenze del primo e, quindi, privo di implicazioni speculative, discendendo, tale obbligo, dal principio di buona fede oggettiva, codificato dall’art. 1375 c.c., sostanziantesi in principio di ordine pubblico nel nostro ordinamento, che impone di attivarsi, per tutelare la controparte, fino al limite dell’apprezzabile sacrificio.

6.8. In situazioni analoghe a quella analizzata è stata riconosciuta la giurisdizione contabile anche nei confronti degli Istituti bancari che abbiano svolto il doppio ruolo di advisor e di contraente nei confronti dell’ente locale, in virtù del rapporto funzionale creatosi tra il consulente – contraente e il soggetto pubblico (in questi termini, C.d.C. Sez. giur. Toscana, 23 dicembre 2014, n. 236; C.d.C. Sez. I App. 16 dicembre 2015, n. 609).

6.9. La giurisprudenza, di merito (Trib. Milano, Sez. VI, 14.4.2011, n. 5118; App. Milano, Sez. I, 18 settembre 2013; 25 maggio 2015, n. 2244; App. Bologna, 11 marzo 2014) e di legittimità (Cass. 8.05.2014, n. 9996; 9.02.2016 n. 2535; 3.06.2016, n. 11478; 9.08.2016 n. 16828) ha affermato che «le operazioni su prodotti finanziari derivati [a prescindere dalla loro tipologia] … consistono in una scommessa al rialzo o al ribasso, da cui il cliente si ripromette intenti altamente speculativi, quale vantaggio prettamente aleatorio collegato alla creazione artificiale di un rischio»[3]  e che, quindi, la causa dei derivati «over the counter» (e, dunque, anche degli «swap collar») consiste nella consapevole e razionale creazione di alee  reciproche e bilaterali, che consentano al contraente di agire in modo potenzialmente razionale.

6.10. La Corte d’appello di Milano – Sezione I, con la decisione 11.11.2015, n. 4303, confermando la sentenza di primo grado n. 5118/2011,  in una fattispecie avente ad oggetto proprio tre contratti swap collar, stipulati con la dichiarata finalità conservativa per consentire al Comune la ristrutturazione di mutui già in essere con la Cassa Depositi e Prestiti, ne ha rilevato, a seguito di consulenza tecnica d’ufficio la «spiccata connotazione speculativa», affermando il principio per cui «qualora il derivato stipulato con un ente locale non sia qualificabile come avente funzione di copertura ne deriverà la nullità per mancanza della causa (lecita) in concreto». Come è costantemente affermato dalla giurisprudenza di merito, «addossare il rischio ad una sola delle parti e attribuire all’altra profili certi sulla redditività futura del proprio investimento consente alla controparte di calcolare perfettamente, ed a priori, i costi dell’operazione posta in essere e dei vantaggi ricavabili, con conseguente mancanza, nella causa concreta, di un’effettiva alea» (Trib. Milano 19 aprile 2011. Nello stesso senso, Trib. Alba 22 marzo 2011; Trib. Lecce 9 maggio 2011; Trib. Modena 23 dicembre 2011 in I Contratti 2012, 130; Trib. Orvieto 12 aprile 2012; Trib. Torino 17.01.2014)[4]. Da qui la potenziale nullità di tutti i contratti derivati stipulati[5].

Sul punto, il Tribunale di Monza, riprendendo una decisione di poco precedente della Corte di Appello di Torino[6], con la sentenza del 9 novembre 2017 ha nuovamente ribadito come la validità dei contratti IRS «dipend[a] dalla presenza di una distribuzione dell’alea proporzionata e coerente con le poste in gioco e dal fatto che le regole del gioco siano realmente conosciute da entrambe le parti prima della sottoscrizione», in quanto l’investitore «può scientemente e validamente accettare il rischio collegato all’operazione propostagli solo se l’intermediario non si sia limitato a fornirgli delle generiche informazioni sui contratti derivati o sul mercato finanziario in generale, ma abbia previamente condiviso tutte le informazioni relative al pricing dell’IRS proposto, all’eventuale up front che gli sarebbe spettato per annullare lo svantaggio previsto a suo carico, all’andamento storico dei tassi e degli indici, agli schemi finanziari e alle proiezioni probabilistiche relative a tutti gli indici idonei ad influire sulla quotazione dei valori oggetti di scambio».

6.11. Ulteriore profilo di possibile nullità del contratto attiene alla mancata indicazione, nei documenti genetici dei rapporti negoziali esaminati dalla Sezione, della predeterminazione dei criteri di calcolo del mark to market, costituente elemento essenziale dei contratti derivati (in termini, Trib. Milano 13.09.2016, n. 10049).

6.12. A prescindere dai profili sopra esaminati, tutti di natura sostanziale e che devono essere ulteriormente verificati, appare decisivo, per rilevare incidentalmente l’invalidità di tutti i contratti sottoscritti dal Comune  di Genova,  il rilievo formale, rilevabile in re ipsa, della assenza della clausola che consente all’investitore di recedere, comunque, dai medesimi entro sette giorni dalla sottoscrizione (c.d. recesso di ripensamento) che comporta, ai sensi dell’art. 30, comma 6 – 7, TUF[7], la nullità dell’intero contratto, azionabile esclusivamente dall’investitore medesimo (c.d. nullità di protezione).  A cascata, l’accertamento giudiziale della nullità di tali contratti non ha valore effimero, in quanto legittimerà le contestuali azioni di ripetizione di tutte le somme indebitamente versate negli ultimi dieci anni ai sensi dell’art. 2033 c.c.

 

7. Rilievi conclusivi.

Non rivalità e non escludibilità individuano i caratteri intrinseci dei beni e dei servizi pubblici. Un bene è non rivale quando può essere fruito da parte di più soggetti simultaneamente. Esso è, invece, qualificato come non escludibile quando può essere consumato da più soggetti, in contemporanea, in ragione di una puntuale regolamentazione.

L’art. 97 della Costituzione, nel fissare in termini di ineludibile i canoni di buon andamento e imparzialità che devono sovrintendere all’esercizio della funzione pubblica da parte dell’Amministrazione, consacra un obiettivo può dirsi perseguito solo se coordinato, in termini di economicità ed efficacia, con la concreta attuazione del precetto che persegua un armonico coordinamento secondo linee guida di bilanciamento incrociato di efficacia ed efficienza perseguite nel breve e nel lungo periodo.

In questo contesto si inserisce l’attività degli Enti locali e il loro utilizzo degli strumenti derivati. Questi ultimi rappresentano una particolare tipologia di prodotti finanziari caratterizzati da evidente complessità, da quasi oltre decennio impiegati ai fini del reperimento di risorse economiche integrative. Il ricorso a questo tipo di strumento è divenuto la regola – spesso sottratta alla consapevole negoziazione –  per effetto della diminuita liquidità dell’Ente a seguito della diminuzione dei trasferimenti erariali in suo favore degli Enti locali in un contesto correlato alla sua maggiore autonomia  finanziaria di entrata e spesa.

Ha osservato la Corte dei Conti nella Indagine conoscitiva elaborata con Deliberazione delle Sezioni Riunite n. 7/2015 che, «normalmente alla parola “innovazione” si associa una valenza positiva; ma, se al sostantivo si aggiunge l’aggettivo “finanziaria”, quella valenza si attenua, se non cambia addirittura di segnoCiò anche se non può ignorarsi che, dove l’innovazione accelera, il lavoro dei regolatori si fa più complesso; dovendo intervenire su di  una realtà in movimento, piuttosto che regolare l’esistente».

Ciò posto, si rende necessario rifuggire dalle semplificazioni nelle quali spesso si incorre in presenza di siffatte argomentazioni: tra queste la convinzione che  l’esistenza in un dato momento di un fair value negativo relativo agli strumenti finanziari in portafoglio sia indicatore di errori compiuti nella gestione finanziaria.

Per una valutazione compiuta del comportamento di un operatore che registri un fair value negativo degli strumenti finanziari derivati nel proprio portafoglio, occorrerebbe anche considerare il valore all’assicurazione di cui quel medesimo operatore ha fin qui goduto, facendo l’ipotesi più semplice, rispetto ad una variazione di tassi di interesse sfavorevole.

Valutazione tecnicamente complessa, che non può esaurirsi nella mera constatazione di un valore negativo o positivo del fair value: è necessaria una attenta analisi delle condizioni nelle quali i mercati in generale, e quello specifico operatore, si trovavano ad affrontare nel momento in cui l’operazione fu stipulata; occorre tener presente che difficilmente, salvo casi estremi, quel giudizio potrà essere conclusivo e non controverso.

Se da un lato, nel 2001, il novellato art. 119 della Costituzione ha previsto l’autonomia finanziaria degli Enti pubblici territoriali, stabilendo l’esclusivo ricorso all’indebitamento per finanziare spese di investimento, dall’altro la incontroversa rigidità del Patto di Stabilità (che fissa stringenti vincoli di spesa, dai quali ne è discesa una crisi di liquidità avvertita particolarmente tanto dai Comuni medio-piccoli, quanto dagli Enti territoriali maggiori) ha costituito l’elemento scatenante. Proprio la ricerca di liquidità, volta a sopperire alle immediate esigenze di cassa, si è tradotta nella conclusione – spesso carica  di sprovveduta inconsapevolezza degli Enti territoriali – di operazioni Swap, con annessi cospicui Up-Front, tradotti nella pratica in un rapido deterioramento delle condizioni di rimborso del debito.

L’evidente aleatorietà sottesa alle operazioni descritte non può che trovare il momento risolutivo nel principio di buon andamento che dovrebbe ispirare l’amministrazione della finanza pubblica. Su piano operativo si rende tuttavia manifesta la necessità di rendere i bilanci pubblici trasparenti onde consentirne una valutazione accurata ed approfondita, ricomprendendo le operazioni in derivati aperte e il relativo Mark to Market, da parte degli organi di vigilanza. I profili meramente programmatici, tuttavia, potranno evolversi in termini di concreta attuazione dei principi perseguiti solo se l’azione amministrativa si accompagnerà ad un consapevole e specialistico approccio in un contesto complessivamente ricondotto al principio di autoresponsabilità. 

 

 

[1] 1  Ai sensi dell’art. 3, comma 2, lett. c) del d.m. 1/12/2003 n. 389 con l’acquisto di «cap» di tasso di interesse l’acquirente viene garantito da aumenti del tasso di interesse da corrispondere oltre il livello stabilito.

L’interest rate cap è un contratto derivato in cui l’acquirente, a fronte del pagamento di un premio, ha diritto a ricevere dal venditore, per un certo periodo di tempo e in date prefissate (scadenze intermedie), un importo pari al prodotto tra la differenza positiva tra un tasso di mercato (ad esempio il tasso LIBOR) e il tasso fissato dal contratto (strike rate o floor rate) alla data di rilevazione (data di fixing). Un interest rate cap consente a un soggetto indebitato a tasso variabile (l’acquirente dell’opzione) di fissare il costo massimo dell’indebitamento, tutelandosi contro andamenti al rialzo dei tassi di mercato e conservando al tempo stesso la possibilità di sfruttare andamenti al ribasso dei tassi di mercato

 

[2]  Lo swap collar è un contratto misto che costituisce la sintesi tra i due diversi interest rate floor e interest rate cap, creando una sorta di cuscinetto o “corridoio” (il collar, appunto) nel cui interno non ha luogo alcuna liquidazione tra le parti, a differenza di quanto accade qualora il tasso di riferimento si trovi al di sopra o al di sotto della banda di oscillazione convenzionale.

[3]  Così, espressamente, Cass. n. 9996/2014 in Nuova giur.civ.comm. 2014, I, 1099 ss.

[4]    Così, espressamente, Trib. Milano 19 aprile 2011. Id., Trib. Alba 22 marzo 2011; Trib. Lecce 9 maggio 2011; Trib. Modena 23 dicembre 2011 in I Contratti 2012, 130; Trib. Orvieto 12 aprile 2012; Trib. Torino 17.01.2014

[5]   Cfr. Trib. Pescara 12 aprile 2010, in I Contratti 2011, 247, secondo cui «la natura imperativa delle disposizioni che consentono l’utilizzo dei derivati da parte degli enti pubblici ai soli fini di copertura dei rischi derivanti dall’indebitamento comporta la nullità dei contratti di swap conclusi in violazione di dette disposizioni».

[6]  App. Torino 27 luglio 2016: «È nullo il contratto swap in cui l’incertezza circa l’andamento del differenziale viene in concreto a gravare solo la posizione del cliente. In materia di derivati swap, infatti, l’alea bilaterale costituisce elemento essenziale della causa: solo se entrambe le posizioni contrattuali risultano effettivamente soggette a un’apprezzabile componente di rischio, il contratto, nella sua struttura, supera il vaglio di meritevolezza ai sensi dell’art. 1322 c.c. In caso contrario, gli interessi in concreto perseguiti dallo stesso non possono dirsi meritevoli di alcuna tutela».

[7]   Art. 30, commi 6 – 7, d. Lgs. 24.02.1998, n. 58 : «6. L’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli conclusi fuori sede … è sospesa per la durata di sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell’investitore. La medesima disciplina si applica alle proposte contrattuali effettuate fuori sede o a distanza ai sensi dell’art. 32. 7.L’omessa indicazione della facoltà di recesso nei moduli o formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere fatta valere solo dal cliente».

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