La Cina censura anche l’AI generativa

La Cina ha pubblicato una indicazione di cosiddetti “requisiti di sicurezza”, in realtà azioni di censura, per le aziende che offrono servizi di intelligenza artificiale generativa; in particolare, poiché l’AI generativa impara come eseguire azioni dalle informazioni presenti sul web e crea nuovi contenuti come testo o immagini in base a tale formazione, ha definito una lista nera di fonti che non possono essere utilizzate per addestrare modelli di intelligenza artificiale.

I requisiti sono stati pubblicati mercoledì dal Comitato nazionale per la standardizzazione della sicurezza delle informazioni, che comprende funzionari della Cyberspace Administration of China (CAC), del Ministero dell’industria e della tecnologia dell’informazione e della polizia.

Il comitato propone di condurre una “valutazione della sicurezza” di ciascun insieme di contenuti utilizzati per addestrare modelli di intelligenza artificiale generativa rivolti al pubblico, inserendo nella lista nera quelli contenenti “più del 5% di informazioni illegali e dannose”.

Il problema fondamentale è cosa viene definito come “illegale e dannoso”: “il sostegno al terrorismo” o alla violenza, così come il “rovesciamento del sistema socialista”, il “danneggiamento dell’immagine del Paese” e il “minare l’unità nazionale e la stabilità sociale”. Inoltre, il progetto di norme stabilisce inoltre che le informazioni censurate su Internet cinese non dovrebbero essere utilizzate per addestrare i modelli.

La pubblicazione di queste indicazioni avviene dopo poche settimane dall’autorizzazione per diverse aziende tecnologiche cinesi – tra cui il colosso dei motori di ricerca Baidu – di proporre al pubblico i loro chatbot generativi basati sull’intelligenza artificiale.

Rapidamente, le autorità cinesi si sono rese conto delle potenzialità dell’AI di generare informazioni estranee al controllo pressante della censura di Stato,e quindi sono corse ai ripari occultando la volontà censoria sotto l’egida di una sedicente “valutazione di sicurezza”.

Una reazione comprensibile, da parte dello Stato cinese, ma che allontana sempre più l’ambiente tecnologico dalla possibilità di agire liberamente.

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