L’iniziativa legislativa europea in merito all’efficienza energetica degli edifici ha creato panico nei proprietari di casa e ha aumentato il livello di critica nei confronti dell’Europa, vista più come un problema e un costo inutile per i cittadini, piuttosto che come un’opportunità di crescita per tutti.
Il problema nasce, essenzialmente, dalla grande differenza esistente all’interno di un ampio gruppo di 27 Paesi che si sono uniti sul piano economico e normativo senza rendersi conto che l’uniformità di leggi e regolamenti avrebbe causato disagi, se spinta fino ai più piccoli dettagli della vita quotidiana.
Soprattutto, l’assenza di una vera collegialità nelle decisioni, poiché è ormai evidente che le Istituzioni UE sono in buona parte sotto il controllo e l’egida della Germania (e della Francia, in misura minore), specialmente da quando è avvenuta la Brexit.
Il caso della Direttiva sull’efficienza energetica degli edifici è emblematico: la Germania è uno dei Paesi europei dove è inferiore la quota di cittadini proprietari della propria abitazione (circa il 50%), ben distante dal 75% italiano. Significa che in Italia i proprietari di casa – molto più numerosi in percentuale – sono anche soggetti economicamente fragili, che non sono in grado di sostenere le enormi spese necessarie a garantire la classe energetica E entro il 1° gennaio 2030 e la classe D entro il 1° gennaio 2033.
Da qui la rivolta dei cittadini, la necessaria presa di posizione della maggioranza al governo, con le parole di Fratelli d’Italia: “La casa è sacra e non si tocca”; tenendo conto che in Italia il patrimonio immobiliare è spesso vetusto, infatti Ance ha dichiarato che si dovranno ristrutturare più di 2 case su 3. Con un costo elevato, al punto che Confedilizia ha definito la Direttiva come “una eco-patrimoniale europea”.
Sarebbe il caso che i legislatori europei fossero più prudenti, prima di proporre Direttive cogenti in tutto il territorio, tenendo conto delle differenza tra Paesi, al fine di non fomentare le proteste di chi vorrebbe addirittura uscire dall’Europa, vista come una forza che condiziona la nazione piuttosto che un consesso in cui crescere in armonia.