La Superlega: un guaio economico oltre che sportivo

Da due giorni il tema calcistico ha invaso i media di ogni Paese europeo, da quelli tradizionali a quelli digitali. L’argomento che ha scomodato i Governi, con lo stesso Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi che ha immediatamente affrontato la questione pubblicamente, è quello della Superlega. Questo perché la European Super League, ribattezzata in Italia appunto come Superlega, sarebbe stata molto più che una competizione sportiva, e si sarebbe configurata come una variabile fondamentale per l’economia internazionale.

Cosa è la Superlega?

Stiamo parlando di un progetto di competizione calcistica a circuito quasi totalmente chiuso, ideato dai proprietari di alcuni dei più importanti club calcistici europei (tra cui Andrea Agnelli, patron della Juventus). Tralasciando le ipotetiche modalità di svolgimento del torneo, poco interessanti ai fini della nostra trattazione, l’innovatività e la rottura con il passato sono evidenziate dall’accesso privilegiato di cui i club fondatori, dodici al momento della presentazione ma quindici secondo il progetto finale, avrebbero potuto godere rispetto alla totalità delle altre società europee. Mediante un accordo con JP Morgan si sarebbe dato il via all’organizzazione, che avrebbe poi camminato con le proprie gambe grazie agli ingenti proventi generati dalla competizione. I club partecipanti si sarebbero dunque ogni anno distribuiti i diritti televisivi e le restanti entrate del torneo, in maniera tale da tentare di sanare le proprie casse, oggi appesantite dalla pandemia da Covid-19. A dichiarare orgogliosamente il via al progetto sono state sei società inglesi, tre società spagnole e tre italiane (la Juventus, l’Inter e il Milan). Nella serata di ieri, 20 aprile 2021, il progetto, che sembrava fortemente lanciato, ha subìto una netta frenata a causa dell’abbandono di sei dei club fondatori (tutti i club inglesi) in seguito ai malumori generati nell’opinione pubblica.Oggi, con l’ulteriore uscita di due club, tra cui l’italiana Inter, è stato ufficialmente sospeso il progetto.

Tutti contro la Superlega

Dal momento dell’annuncio, il 18 aprile, fino a oggi, l’intero mondo dello sport, e non solo, si è scagliato contro l’iniziativa assunta dai dodici club europei. Da cortei e striscioni nelle piazze di tutta Europa alle dichiarazioni della UEFA, massima istituzione calcistica in Europa, passando per le esternazioni dei protagonisti (calciatori e tecnici). È successo di tutto. La Superlega era, secondo il parere condiviso da tutti, ciò che avrebbe distrutto definitivamente il mondo del calcio. E non solo. Numerosi rappresentanti istituzionali e politici degli Stati europei coinvolti si sono infatti prontamente espressi negativamente, facendo blocco contro la Superlega. La domanda allora è: perché? Certamente la competizione in questione avrebbe aiutato a risanare le finanze dei club partecipanti. E senza ombra di dubbio avrebbe inoltre potuto aiutare a riavvicinare il grande pubblico allo sport, grazie a eventi di caratura massima ogni settimana. Quindi dove risiede il vero problema che ha spinto i rappresentanti dei Governi a intervenire in prima persona con dichiarazioni pubbliche?

I tre motivi per cui la Superlega avrebbe potuto danneggiare l’economia

A mio parere sono tre i motivi economici per cui i rappresentanti istituzionali degli Stati, nascondendosi dietro discorsi di inclusività nello sport, hanno fortemente ostato alla nascita della Superlega.

Il primo è da ricercare nell’importanza, per l’Italia in primis, dell’ingresso di investitori stranieri. Come abbiamo osservato negli ultimi anni, il calcio, come numerosi altri settori economici, non può sopravvivere se non grazie all’ingresso di investitori esteri in grado di sostenere le ingenti spese che il mondo calcistico oggi richiede. E sorvolando il tema prettamente calcistico, l’ingresso di magnati stranieri nelle società italiane può favorire l’economia del Paese anche grazie a iniziative che vadano oltre l’attività sportiva. Un esempio si può trovare nell’ormai tramontato progetto dello Stadio della Roma a Tor di Valle, portato avanti per anni dall’ex Presidente dell’Associazione Sportiva Roma, lo statunitense James Pallotta. In alcune fasi di sviluppo del piano, oltre all’edificazione della struttura, era prevista la costruzione di opere pubbliche indispensabili per la Capitale (interventi sulla metropolitana e sulla viabilità). Un’iniziativa maestosa che avrebbe dunque generato lavoro e occupazione. Un circuito chiuso che remunera in maniera stabile e ingente quindici o venti società, favorendole strutturalmente ed economicamente sulle altre, avrebbe fortemente scoraggiato l’investimento di imprenditori internazionali nelle restanti società, destinate a incombere.

Il secondo motivo è che un’attenta lettura della situazione economica del calcio europeo evidenzia come sia presente una falla interna. Una malattia del sistema che il sistema stesso da diversi anni autogenera. Tutti i giganti del calcio europeo hanno le proprie casse in rosso proprio perché hanno accettato e alimentato un sistema che remunera eccessivamente i protagonisti, con una costante crescita delle stesse remunerazioni. Anche i giri di denaro tra società in ambito di calciomercato risultano insostenibili nel lungo periodo. Niente può risarcire i club di queste spese, sempre crescenti. Generare ulteriori movimenti di denaro per reinvestirlo ancora in maniera pesante nel calcio, aumentando ulteriormente le spese delle società e il costo dell’attività calcistica spingerebbe nella direzione sbagliata già intrapresa. È un sistema pronto a divorare chi ne fa parte. Non è sostenibile nel lungo periodo. E bisogna intervenire in questo senso per salvare il calcio. Non più soldi, ma meno!

La terza motivazione è la più evidente. Inevitabilmente, di fatto, quello a cui avremmo assistito sarebbe stato una forte spinta verso il monopolio del mercato calcistico da parte di alcune grandi società. Questo sia a livello europeo sia, soprattutto, per quanto concerne il mercato interno. Il calcio è, di fatto, a tutti gli effetti un mercato regolamentato di grande importanza. E il monopolio altro non che è una patologia del mercato stesso. Va evitato a tutti i costi.

In conclusione, si può serenamente dire che la Superlega, oltre che un’iniziativa di cattivo gusto, seppur presentata come una medicina, sarebbe stata un veleno. Giusto quindi concederci un sospiro di sollievo. Per adesso.

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