Come si è già avuto modo di scrivere in precedenza (per riferimenti, si veda questo link) il metaverso rivoluzionerà il mondo come lo conosciamo, ivi inclusa la moneta. È naturale che dovendo interagire nell’ambito di un mondo totalmente virtuale, i metodi di pagamento tradizionali come contanti e carte di credito siano completamente inadatti ad essere utilizzati. Le Big Tech che si stanno prodigando nello sviluppo del metaverso stanno anche, parallelamente, portando avanti dei progetti per la creazione delle proprie cryptovalute.
I problemi legati alle blockchain
Tanto come giuristi quanto come persone di buon senso, analizzando la questione cryptovalute è necessario sollevare diversi dubbi che richiedono ulteriore studio e attenzione da parte degli operatori. Il primo dubbio è certamente legato all’aspetto materiale delle cryptovalute, ossia il meccanismo di blockchain: da chi sono gestiti i server su cui rimbalzano le richieste e che permettono, attraverso i passaggi intermedi, di creare la moneta virtuale? E ancora: qual è l’impatto delle blockchain dal punto di vista ambientale?
Al primo quesito, la risposta risulta complessa e di non facile argomentazione. In un mondo sempre più spinto verso la globalizzazione e che grazie al mercato digitale abbatte le barriere fisiche legate alla distanza fra un punto A e un punto B, il tracciamento degli indirizzi nei quali transitano le informazioni (lo si visualizzi come una sorta di ping-pong fra diversi server sparsi nel globo) diventa ostica se non impossibile. Ciò implica come sia economicamente inefficiente allocare risorse dedite al tracciamento di tutti gli indirizzi IP associati ai vari server grazie ai quali la cryptovaluta viene creata, appesantendo di fatto l’operato delle forze di polizia e della magistratura, civile e penale, nella risoluzione di eventuali indagini e controversie: ciò potrebbe significare un deperimento – se non un vero e proprio vuoto – nella tutela giuridica del cittadino, incapace di affrontare da solo i possibili rischi legati all’utilizzo delle cryptovalute nel metaverso.
Il secondo interrogativo è di più facile risoluzione e disponiamo di diversi dati per restituire la dimensione reale del problema. Si prenda ad esempio il caso della cryptovaluta Ethereum: il costo energetico medio per transazione viene stimato in 178,89 kW/h, contro i 148,63 kW/h di una transazione VISA (fonte: Ethereum average energy consumption per transaction compared to that of VISA) e si sta considerando solamente una delle cryptovalute presenti nel panorama digitale, via via in aumento e che la pandemia ha contribuito a rendere sempre più popolari. Qualora non si riescano ad efficientare le operazioni di mining, conseguentemente alla diffusione capillare delle cryptovalute aumenteranno anche i consumi energetici e di pari passo anche le emissioni di Co2: non esattamente il migliore dei mondi, soprattutto considerando gli sforzi che si stanno facendo in favore dell’ambiente e nella lotta contro il cambiamento climatico. Il problema assume portata ancora più grande se si considera che il consumo annuale di energia, globale e stimato, dedicato al mining del Bitcoin è di 177,43 TW/h l’anno (fonte: Bitcoin energy consumption worldwide): facendo una rapida conversione si ottiene che il costo energetico annuale del Bitcoin impatta sul pianeta per 115 milioni di tonnellate di Co2. Il che, si potrebbe erroneamente pensare, non è granché rapportato al consumo totale di 50 miliardi di tonnellate di Co2 immesse nell’atmosfera ogni anno: ma è bene notare ancora una volta che stiamo parlando di una sola cryptovaluta, tra l’altro ancora relativamente poco utilizzata visto e considerato che la moneta con corso legale è, ad oggi, l’unica ufficialmente riconosciuta per i pagamenti. Si immagini quanto potrebbero impattare le cryptovalute usate nel metaverso, specialmente nel caso in cui ogni piattaforma utilizzi la propria senza appoggiarsi a quelle già esistenti.
La possibile dipendenza dalle Big Tech
I progetti di sviluppo del metaverso e delle proprie cryptovalute da parte delle Big Tech implicano, ulteriormente, un problema relativo alla possibile dipendenza delle pubbliche amministrazioni e degli Stati nei confronti delle suddette. I soggetti pubblici che siano incapaci o che semplicemente non abbiano intenzione di sviluppare un metaverso in proprio, potrebbero decidere di appoggiarsi a metaversi già esistenti e prestare il fianco alle Big Tech: non è un mistero che l’implementazione del metaverso porti con sé un forte dispendio di risorse fisiche, economiche e umane che non tutti possono permettersi. Le problematicità sono molteplici, dalla difesa dei dati personali degli utenti, fino all’utilizzo di cryptovalute interamente controllate e gestite da queste corporation. A proposito, il rischio concreto è quello di lasciare ai colossi del digitale non solo le chiavi della pubblica amministrazione ma anche e soprattutto la gestione dei flussi di moneta del metaverso: uno scenario di questo tipo porrebbe la pubblica amministrazione in una posizione subordinata non certamente auspicabile.
La mancanza di regolazione delle cryptovalute
Vi è poi un’ultima questione, forse la più spinosa: le cryptovalute non sono al momento regolate ufficialmente da nessun organo deputato come le banche centrali. Il rischio, in questo caso è duplice: da un lato, la mancanza di organi idonei a regolare i flussi e la quantità di moneta nonché di vigilare e adattare i flussi a seconda degli shock economici permettono alle cryptovalute di fluttuare senza freni, il che comporta una generale instabilità della moneta; dall’altro, la creazione della moneta attraverso i sistemi di blockchain permette – potenzialmente – a qualsiasi utente dotato di un supporto fisico adeguato (come un pc con una buona scheda grafica, capace quindi di accelerare parecchio le funzioni di calcolo) di poter fare attività di mining in proprio e per proprio ritorno economico, impedendo perciò una reale quantificazione della moneta immessa nel sistema. Tuttavia sono presenti alcune cryptovalute gestite da privati, come ad esempio USDC (USD Coin), che si propongono come alternativa virtuale ancorata al valore della moneta reale, pertanto stabili e indirettamente regolate poiché seguono i flussi della moneta reale: sono chiamate stablecoins e alcune di queste sono entrate a far parte del sistema Ethereum. Anche le banche centrali, come la FED e la BCE, che in un primo momento avevano negato un possibile sbarco del dollaro e dell’euro nel sistema delle cryptovalute stanno ora tornando sui loro passi, specialmente dopo averne valutato il potenziale e i rischi che si sono menzionati sopra.
L’implementazione del metaverso sta portando con sé diverse novità, ma è opportuno che le criticità evidenziate siano risolte il prima possibile: non è desiderabile che una pubblica amministrazione che decida di sviluppare un proprio metaverso sia incapace di offrire al cittadino delle tutele giuridiche nell’utilizzo delle monete digitali; ancor meno se si pensa che l’alternativa alla mancanza di una propria cryptocurrency sia quella di affidarsi a delle monete virtuali che non sono né ufficialmente riconosciute da nessuna banca centrale né tantomeno regolate da queste ultime. Pertanto, risulta necessario un intervento del legislatore che metta in ordine la materia delle cryptovalute e che gli Stati risolvano al più presto anche il problema delle crescenti emissioni di Co2 pertinenti al loro utilizzo.