Alla vigilia di un periodo come questo, frastornato dalla crisi pandemica, in pochi avevano previsto che non vincere significa alimentare la depressione. E ora che ce ne rendiamo conto cosa conviene fare? Probabilmente, come ci hanno insegnato i nostri nonni, i nostri genitori e i professori che abbiamo incontrato nel nostro percorso di studi “bisogna fare il proprio dovere e aspettare i risultati”. Da questa frase possiamo prendere spunto per analizzare quello che ci succede nel mondo dello spettacolo, dove siamo sempre i primi ma non vinciamo mai niente, se non bruscolini colorati. In questi giorni abbiamo vissuto il caso di Laura Pausini, la quale si è presentata alla manifestazione per la vittoria di un Oscar. Il risultato? La Pausini ha perso e l’Italia intera lo evidenzia e lo commenta. Abbiamo potuto osservare per tanti anni il successo di molti attori e di molti personaggi del mondo spettacolo in generale, i quali avevano certamente le capacità per fare al meglio il loro mestiere, ma sempre con la politica davanti e dietro ai loro passi. Sarebbe il momento di fare delle riflessioni e forse anche un mea culpa, in quanto molti giovani che non hanno avuto questo tipo di possibilità non sono stati mai menzionati nello scenario del mondo dello spettacolo. La pandemia dovrebbe servire anche a cambiare, ma cambiare sotto l’ala della libertà.
Altro punto che vogliamo analizzare è quello che riguarda il 25 aprile, con tutti chiusi in casa ma con viva l’idea di festeggiare onorando sigle superate da tempo, in quanto siamo ormai privi di uomini che hanno veramente lottato per liberare questo paese, e oggi qualche nipote poco preparato cerca di portare avanti la solfa sfruttando il sacrificio del nonno. Se si parla di cambiamento, perché non coinvolgere tutto il Paese e dedicare per il 25 aprile, ognuno a modo proprio, cinque minuti di riflessione? Questo probabilmente potrebbe essere qualcosa di innovativo e senza retorica.
L’Europa intanto ha rinviato il Piano Nazionale di ripresa e resilienza al mittente e Draghi ha immediatamente cercato di metterci una toppa con uomini e mezzi pronti a rielaborarlo per ottenere un ‘ok’ preventivo. Si sono lamentate, seppur sottovoce, le organizzazioni sindacali, in quanto non coinvolte. Questa potrebbe essere una novità.
Andando avanti, il Papa ha detto che stiamo vivendo il momento della vergogna, a causa della morte di alcuni immigrati che sono annegati nelle acque europee, non nel nostro Paese. È un discorso ormai vecchio, nonché fastidioso, in quanto si fa molta retorica e non si pensa di fare una messa collettiva in onore delle tante persone che, cercando di scappare dai propri Paesi, hanno trovato la morte. Abbiamo letto sempre il numero delle vittime, ma mai nulla riguardo alla sofferenza cristiana di questi defunti, prevalentemente sono erano giovani. La responsabilità maggiore grava sulle spalle dell’Europa, che non ha dato né contributi seri e né direttive di lavoro per fermare questa atroce realtà.
Infine, il caso Palamara, un caso eclatante, non è sembrato smuovere il Consiglio Superiore della Magistratura. In compenso noi siamo il Paese che comunque sa cantare “bella ciao”.