Guardando indietro per riflettere e arrivare ai giorni nostri la telefonia in Italia è sempre stata considerata una linea strategica e sensibile.
Nel 1923 nacque l’Azienda di Stato Per i Servizi Telefonici (ASST) con il compito di soddisfare le esigenze del paese per la lunga distanza. Due anni dopo circa ottanta piccole società telefoniche si raggruppano in cinque entità corrispondenti alle cinque circoscrizioni territoriali di esercizio del servizio: si formarono così STIPEL, TELVE, TIMO, TETI e SET.
Con il preciso obiettivo di far ripartire il paese e di salvaguardare le attività strategiche, nel 1933 venne fondato l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) e quasi contemporaneamente fu costituita la sua controllata STET – Società Finanziaria Telefonica. Quest’ultima, nella veste di azienda a partecipazione pubblica, entrò nell’azionariato delle cinque società concessionarie.
Il tutto proseguì fino alla nazionalizzazione dell’energia elettrica, precisamente a partire da SIP – Società Idroelettrica Piemontese, la quale, dopo aver investito nel settore delle telecomunicazioni, impose nel 1964 il nome SIP con l’addizione Società Italiana per l’Esercizio Telefonico. Ecco il primo salto.
Tale denominazione rimase fino alla metà degli anni Novanta, precisamente fino al 1994, anno in cui la società venne rinominata Telecom Italia.
Sul finire del Secolo scorso, invece, ebbe inizio la liberalizzazione del settore, e da qui cominciarono i drammi: il primo fu Olivetti che lanciò e condusse in porto l’offerta pubblica d’acquisto e scambio su Telecom attraverso una società, che nessuno ricorda e conosce, chiamata TECNOST.
L’OPA ebbe esito favorevole e Roberto Colaninno, già capo dell’Azienda di Ivrea, ne divenne Amministratore Delegato.
Nello stesso periodo, ricordiamo, per non farci mancare nulla, ci fu la giostra Telecom Serbia, acquistata, venduta eccetera, eccetera.
Il nuovo millennio vede l’ingresso di un nuovo attore: nel 2001 il milanese Marco Tronchetti Provera, insieme a Benetton, rileva il controllo di Telecom.
Intanto i debiti crescono in maniera incontrollata: nel 2007 a un’Azienda sempre più in deficit venne in soccorso la spagnola Telefonica, entrando nel capitale a fianco dei soci finanziatori italiani.
Nel 2016 cambia il nome in TIM e nello stesso anno il gruppo francese Vivendi, guidato da Vincent Bollorè, entra nel capitale e a oggi ne risulta essere il primo azionista, con il 23,7% circa.
Il nostro governo è intervenuto con il nocciolo duro, il cosiddetto “Golden Power”, una sorta di scudo pensato dall’esecutivo al fine di tutelare le attività di alcuni comparti di importanza strategica, che stranamente viene esercitato a corrente alternata secondo lo sponsor politico.
Il dramma della compagnia nasce proprio con il Governo Prodi I che, in maniera violenta, tramite Ciampi – nel ruolo di Ministro del Tesoro e con allora collaboratore Draghi – chiese a Biagio Agnes ed Ernesto Pascale, rispettivamente Presidente e AD di Telecom, di abbandonare la guida della società.
Durante la conversazione i due, in particolare Pascale, si opposero a detta richiesta, ma nell’uscita – accompagnati da Draghi – quest’ultimo invitò ad entrambi di dimettersi.
Pertanto, le conclusioni le lascio a voi: oggi Tim viaggia con un debito di 22/23 miliardi di euro. Era all’epoca il quinto colosso al mondo.
In Italia si parla di commissione d’inchiesta anche per la deturpazione delle piantagioni di pepi rossi piccanti ma nessuno ne chiede l’istituzione per quanto descritto ed accaduto.
È probabilmente un modo surrettizio per non chiamare partiti, uomini politici e qualche uomo d’affari.
In altri termini: è una vergogna.
In questi giorni l’americana KKR ha fatto presente di essere interessata ad un’OPA, valutando le azioni di Tim intorno a 0.50 centesimi: ciò fa ridere i polli senza ombra di dubbio.
Tale offerta valuterebbe Tim solo 11 miliardi: consultando il bilancio di questi ultimi anni della compagnia si verifica che il solo il valore della rete è di ben 15 miliardi di euro.
Perché questi nostri politici improvvisatori non vanno a vedere il bilancio? Perché si esprimono solo sul piano esclusivamente politico, come mero atto di presenza per dire di essere interessati, senza valutare il piano fattuale oggettivo?
Nessuno pensa ai circa 55 mila dipendenti e all’indotto, rischiando di mandare all’aria un’attività strategica per gli interessi del Paese, affidandola a un fondo americano che punta a realizzare un affare sul mero investimento e per poi cederla a un soggetto terzo di cui non sappiamo né nome né cognome.
Ieri sera, lunedì 22 per la precisione, in una trasmissione televisiva si è documentato documentata la presenza di alcuni stranieri che a gennaio sarebbero entrati nelle carceri italiani per interrogare senza autorizzazioni un detenuto accusato di essere un hacker; tra gli ospiti c’era anche magistrato Adolfo Sabella che ha descritto l’iter per poter entrare a visitare gli istituti detentivi, a partire da deputati e senatori, che hanno compito ispettivo, fino ai privati: entrambi debbono fornire le loro generalità.
E sembra che a Salerno, nel cui carcere è avvenuta la vicenda, non ci sia nessuna documentazione dell’accaduto.
Sull’accaduto silenzio da parte dell’allora Ministro della Giustizia, da parte Ministro degli Esteri e da parte dell’allora Presidente del Consiglio. Tre silenzi che corrispondono a Bonafede, Di Maio e Conte.
Se ci fossero dovrebbero battere un colpo per dire siamo bravi, siamo belli e noi non c’entriamo niente. Sarebbe una risposta stupida ma almeno una risposta.
Dinanzi a tutto questo schi-fume nessuno parla di commissione di inchiesta, nessuno si preoccupa dell’ingerenza estera nel nostro Paese, nessuno tutela la compagnia di telecomunicazione nazionale.
All’epoca dell’ingresso di Vivendi disse pose l’attenzione sulla vicenda, tentando di bloccare l’ingresso dei francesi: la risposta fu immediata e negativa “non è possibile in quanto la Francia rientra nei paesi europei”. Quanto prima questi ignoranti diranno che gli Stati Uniti, in quanto parte dell’Occidente, sono anch’essi europei?
Che stiamo viviamo un momento di crisi politica, culturale e sociale lo tocchiamo con mano, ma questa volta non c’entra il Covid, perché la pandemia in questo paese viene da lontano, dal 1923 e tutt’oggi non è stato trovato un vaccino per tali disastri.