Il dibattito che si è sollevato in occasione di domenica primo maggio, sull’onda della proposta di consentire l’apertura degli esercizi commerciali, ha evidenziato due contraddizioni nelle proteste di chi voleva le saracinesche dei negozi abbassate "per rispetto ai lavoratori" e in difesa di "valori non negoziabili", termine quest’ultimo utilizzato da Susanna Camusso.
La prima riguarda una inevitabile discriminazione tra lavoratori; non è vero che tutti riposano il primo maggio: oltre a coloro che si occupano di servizi essenziali (sanità, trasporti, sicurezza), molti altri lavorano. Cuochi e camerieri nei ristoranti, personale alberghiero, addetti nei luoghi di divertimento quali cinema e teatri. Perfino i concerti del primo maggio necessitano di facchini, allestitori, tecnici e altro personale per essere svolti. Dinanzi a questa realtà, che senso ha difendere il "diritto" a non lavorare dei commessi dei negozi? Hanno forse maggiore "diritto" di cuochi, camerieri, tecnici, ecc ?
La seconda obiezione nasce dalle osservazioni che hanno motivato la richiesta di non aprire le attività commerciali il primo maggio: va bene divertirsi, andare a pranzo fuori, spendere il proprio denaro in gelati, cinema, giri di giostra, ma non fare acquisti.
Perché comprare beni, siano un vestito, una pentola o un cellulare è considerato un "valore" negativo, significa cedere al "consumismo", da qui la decisione di chiedere la chiusura dei negozi per la festa dei lavoratori.
Acquistare oggetti è un’azione che va disapprovata, come se fosse contraria al bene comune. E’ dalla fine degli anni ’60 che l’Italia cade nella contraddizione di "santificare la produzione, demonizzare la vendita", come disse un famoso pubblicitario.
Ma le leggi del’economia, e anche della logica, impongono che si può avere occupazione solo se si produce e si può produrre solo se poi si riesce a vendere. Quindi, se si vuole che gli operai abbiamo un lavoro, non si possono creare sensi di colpa in chi acquista, altrimenti il meccanismo della "domanda interna" si blocca e si va in recessione.
Ma questo in Italia devono ancora capirlo in molti.