Costo del lavoro insostenibile o esuberi di personale: cosa fare – seconda parte

Le eccedenze di personale In questo caso ci sono troppi occupati nell’impresa o in alcune attività di essa. Il fenomeno è oggi abbastanza diffuso ma al tempo stesso difficile da identificare e misurare. Rischia talvolta di avvicinarsi – nella sua gestione – a quello visto in precedenza, nel senso che di punto in bianco l’azienda, a corto di ricavi, dichiara eccedenze mai analizzate prima solo perché il costo del lavoro è diventato insostenibile.

E’ questo un tema spesso trascurato e tollerato quando i ricavi ci sono, ma se non lo si affronta per tempo – nell’ottica di avere sempre un’organizzazione snella – prima o poi arriva a pesare sul conto economico in modo insostenibile. Anche perché essere in troppi a far le cose rallenta e complica i processi, disperdendo valore e generando molte altre criticità che l’azienda prima o poi è chiamata a pagare (come la demotivazione di chi è sottoccupato, o la gestione delle attività inutili svolte da chi non avendo lavoro se lo inventa).

Al tempo stesso è un fenomeno difficile da misurare puntualmente rispetto al corretto dimensionamento. Rinviando questo tema a più specifiche trattazioni, diciamo solo che:

  • Molte delle analisi organizzative e delle consulenze in materia non sono efficaci perché per ottenere risultati attendibili serve avere al tempo stesso una profonda conoscenza dei processi aziendali e una buona (rara) competenza sulle tecniche di dimensionamento.
  • Per le attività operative è possibile misurare le attività standard avendo risultati attendibili. Questo con l’accortezza di evitare il ricorso alle cd. “attività equivalenti”, che “pesano” diversamente il tempo necessario per svolgere un’attività rispetto a un’altra sulla base della predefinita differente complessità delle due lavorazioni  (per esempio, sostenendo che per riparare una lavatrice vecchia servono “per definizione” 60 minuti mentre per ripararne una in garanzia ce ne vogliono 40): in quanto concetto predefinito (a tavolino) ed arbitrario, la sua moltiplicazione su grandi numeri genera distorsioni soggettive irrecuperabili .
  • Meglio sempre affidarsi ai “benchmark”, al confronto mai abbastanza praticato con chi fa la stessa attività in altre aziende o in altre realtà della stessa azienda: è un sistema molto più pragmatico ed affidabile, a patto di analizzare le attività a pari perimetro comprensive di tutti i costi esterni. Per le staff e le attività indirette questa rimane spesso l’unica soluzione.
  • E poi c’è la tecnologia digitale, che ci permette di tracciare e confrontare una marea di informazioni su ciò che ciascun lavoratore in media fa rispetto agli altri (anche in forma anonima).

Avere una reale contezza delle eccedenze è comunque importante sia perché le soluzioni non sono le stesse al variare dei numeri in gioco, sia perché se il problema viene affrontato in modo superficiale / parziale è verosimile che si riproponga, minando la credibilità e la stabilità aziendale oltre che la nuova percorribilità delle soluzioni già messe in campo.

Più sono definiti i numeri e il perimetro delle eccedenze – per sede, profilo professionale, ecc. – meglio è possibile individuare soluzioni efficaci; queste ultime nascono sulla base delle effettive caratteristiche delle risorse eccedenti, e vanno gestite come se si trattasse di un’offerta di manodopera da incrociare con la domanda del mercato del lavoro (reale, interna all’azienda, inespressa o potenziale che sia).

Le potenzialità di questo approccio si sono ampliate di molto con l’avvento delle nuove organizzazioni complesse, in cui il processo produttivo non si esaurisce quasi mai nel lavoro interno all’azienda intrecciandosi con quello di altre organizzazioni che concorrono al risultato finale.

Riepiloghiamo queste potenzialità.

Anzitutto se le eccedenze appartengono a uno o più settori aziendali, ma non a tutta l’azienda, è tutto più facile: occorre spostare le risorse in questione impegnandole negli ambienti dove il lavoro serve o si giustifica, previa adeguata formazione e responsabilizzazione.  Se invece questa opzione non è disponibile – anche solo perché le skill delle eccedenze non lo permettono e non si riescono a far triangolazioni di altre risorse per raggiungere il risultato (nelle aziende piccole è ben possibile che sia così, in quelle medio-grandi molto meno) – occorre approfondire in modo più sofisticato una o più delle seguenti soluzioni:

  • Spostamento delle eccedenze in attività commerciali che portano ricavi aggiuntivi con i quali ci si “ripaga” il relativo costo del lavoro.
  • Reimpiego delle eccedenze in attività che generano costi esterni, sempre nell’ottica di spegnere questi ultimi e di finanziare con i risparmi l’attività delle risorse interne eccedenti
  • Sviluppo di nuove attività contigue al core business in cui impiegare le risorse eccedenti con ricavi nuovi, minori costi o altri benefici tangibili percepiti dai clienti (qualità del servizio, caring, ecc). Serve in questo caso un progetto ambizioso ben diverso da quello delle “bad company”: occorre un manager competente nell’attività, che ci creda e con spiccate attitudini gestionali, occorrono persone motivate e qualificate (quanto basta, non scienziati), e occorre soprattutto una convinta adesione al progetto dell’intero management.
  • Impiego delle risorse, anche a tempo, presso i fornitori, con i quali è più facile di quanto si pensi studiare una soluzione del genere: se si garantiscono loro certi volumi di attività per un determinato periodo di tempo, può darsi che questa certezza assuma un tale valore per il loro sistema di business da giustificare il “prezzo” richiesto; questo anche tenendo conto della elevata flessibilità con cui normalmente i fornitori si muovono sul mercato del lavoro.
  • “Prestito” delle eccedenze ad altre aziende. Loro ne guadagnano in flessibilità, chi ha eccedenze in un temporaneo alleggerimento del costo del lavoro. I divieti di 60 anni fa in materia di “interposizione di manodopera”, che per anni hanno frenato queste soluzioni, sono ora superabili.
  • Incentivazione del “management by out”, offrendo ad un pool di risorse interne di diventare partner esterni e di costruirsi per tale via un nuovo business, magari con la garanzia di assicurare loro lavoro e ricavi per un determinato periodo e di rientrare in azienda se le cose non vanno.
  • Reimpiego delle eccedenze in specifici progetti di efficientamento o di ottimizzazione dei processi, ambedue capaci di abilitare nuove aree di riduzione dei costi. Fanno parte di questa area, per esempio, i progetti per una più rapida fatturazione ai clienti, che vuol dire anticipare i flussi di cassa, o per un più efficace recupero dei crediti, spesso agevolato dall’aver persone dedicate che presidiano la filiera dei pagamenti del cliente.

Occorre sottolineare che questi progetti non sono mai di facile realizzazione e richiedono – come primario snodo realizzativo – un mix professionale adeguato tra le eccedenze per formarle con efficacia sul nuovo. Meno rilevanti di ieri sono invece i temi di inquadramento, grazie alle più recenti normative del lavoro che permettono una grande flessibilità nell’impiego delle eccedenze.

È inoltre sconsigliabile valutare questi progetti solo per il loro completo ritorno economico: il valore di mettere a reddito le eccedenze si misura anche con il dare prospettive di respiro alle persone e all’azienda. Il “punto di pareggio” arriverà, e se non succede potremo sempre tornare indietro.

Non serve poi che il reimpiego avvenga solo in mestieri “del futuro” che abbiano stabilità nel lungo periodo: non è così più per nessuno ormai, e quindi rappresenta già un gran passo avanti mettere le persone in condizione di pagarsi lo stipendio “al riparo” dalle prossime intemperie.

Serve invece l’adesione convinta di tutta l’azienda a questi progetti, che devono essere ben costruiti e comunicati per diventare una sfida in cui le persone riconoscano il bene proprio e quello comune.

Un’ultima considerazione: gli interventi che riguardano il personale devono sempre essere affrontati solo dopo una incisiva azione di contenimento di tutti gli altri costi operativi dell’azienda. Altrimenti le persone non capirebbero, e soprattutto ne va dell’etica e della responsabilità con cui facciamo impresa.

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