Il manager e la gestione delle sue persone nell’era digitale

Nelle aziende in cui è presente la funzione del personale esiste spesso un equivoco di fondo relativamente a chi spetti in concreto la gestione delle persone che operano nelle linee operative, tecniche o di business che siano.

Equivoco generato dal fatto che non tutti i manager vivono il loro rapporto con la funzione del personale in termini di sana complementarietà, come dovrebbe essere. Concentrati sul business, la gestione delle loro persone diventa talvolta asimmetrica: le buone notizie sono appannaggio del manager – che ne avoca a sé diritti e meriti – mentre i conflitti, le comunicazioni scomode/difficili e le altre questioni più o meno tecniche vengono delegati alla funzione del personale.

Niente di più sbagliato: questo assetto delegittima il manager, decreta la fine della funzione del personale in termini di generazione di valore e soprattutto lascia le persone senza una interlocuzione end2end, in balia dei rapporti di forza interni tra le linee e il personale.

Uscire da questa impasse è, almeno a parole, semplice. Se è vero che è la gestione delle persone è fatta di:

– Prossimità, intesa come comunicare e stare vicino alle persone, spiegare loro strategie e situazioni contingenti, farle sentire protagoniste e al centro di un progetto comune, avere cura delle situazioni soggettive e farsi carico dei problemi;

– Sviluppo, inteso come valorizzazione strutturata delle persone tramite piani di remunerazione e di mobilità professionale orizzontale o verticale, che accompagnino le crescenti competenze ed esperienze acquisite con nuove sfide professionali, adeguate a capitalizzare la maturazione raggiunta dalla persona ed a metterla via via in gioco su un terreno più innovativo o complesso; 

– Formazione, mai come oggi essenziale – nelle sue molteplici forme – per diventare persone e professionisti migliori rispetto:

  • al ruolo in quel momento svolto ed ai relativi gap,
  • ai punti di forza della persona su cui far leva
  • alle competenze future necessarie;

se tutto questo è vero, la responsabilità primaria di gestire le persone non può che essere tutta del manager, chiamato a sostenere nel quotidiano e in concreto tutto ciò di cui le persone hanno bisogno per essere efficaci e migliori.

Solo nel day by day, infatti, ci può essere l’apprezzamento sul campo delle aree di forza e di miglioramento delle persone gestite, il confronto sulle dinamiche personali, sociali e industriali e lo sviluppo di una solida complicità professionale: quest’ultima è sempre più importante per il successo e va ben oltre l’etica e la lealtà nei rapporti gerarchici, raggiungendo la sfera emozionale e di coinvolgimento personale.

E nel day by day ci sta il manager, responsabilmente protagonista di tutto ciò, chiamato a creare un ecosistema di persone che attraverso la sua gestione crescano, imparino, siano ascoltate e si arricchiscano.  

Creare e curare un team di persone ben “gestite” con cui collaborare diventa per il manager un asset di grande forza, perché per raggiungere i suoi obiettivi può lavorare sino a 24 ore al giorno, ma non 25…… Non a caso tutti coloro che hanno avuto successo hanno sempre saputo contornarsi di persone valide, ma soprattutto motivate e coese tra loro: insomma, gestite sapientemente.

Nella gestione del team e delle sue persone, egli dovrà quindi integrare le sfide professionali, la vision necessaria per conseguirla, la definizione e misurazione degli obiettivi con il necessario caring delle sue persone. Caring fatto di ascolto, di intercettazione dei segnali deboli, di dialogo, di sintonia e di quanto altro permette, grazie alla prossimità, di avere professionisti e persone ingaggiate con convinzione e generosità sui loro task.

Già, perché la persona e il professionista sono un tutt’uno, e immaginare di poter parlare a volte al professionista e a volte alla persona è un esercizio del tutto inutile: solo se il manager si curerà di ambedue gli aspetti, senza delegare la gestione del primo ad altri, potrà assicurarsi di avere tutte le leve necessarie al successo.  

La delocalizzazione propria dei moderni modelli organizzativi – che vedono il personale lavorare spesso da remoto rispetto all’unità principale – rendono inoltre questo ruolo del manager ancora più importante, perché altrimenti coloro che stanno “lontano dal sole” – benché proprio quelli che fanno accadere le cose – vivono con effetto moltiplicatore una deriva e un isolamento demotivante. La gestione deve arrivare con efficacia anche da loro, se non soprattutto da loro, talvolta dimenticati e ai margini delle politiche di sviluppo in quanto meno conosciuti. Lavorare insieme a questa categoria di personale e gestirlo con adeguati strumenti – ormai la tecnologia permette anche la prossimità con costi irrisori –  ha un grande valore che moltiplica le energie lungo tutta la filiera produttiva.  

Se poi associamo a tutto questo il prepotente, rapidissimo cambiamento digitale – che ha uno straordinario impatto sui mestieri e prima ancora sulle persone, sui loro stili di vita e comportamenti sociali – ci si rende conto ancora meglio come sia indispensabile lavorare sulle persone prima ancora che con le persone verso un obiettivo comune.

Hai voglia a dire, come ripeteva il grande Steve Job, che il computer o oggi lo smartphone sono la bicicletta del cervello; il relativo equilibrio è nei fatti precario, crea dipendenza e instilla legittimi dubbi richiedendo nuovi paradigmi di interazione con le persone.

Le informazioni registrate su supporti digitale, e quindi fruibili con facilità in tempo reale, nel 2000 erano il 25%, nel 2013 il 98% e sono attualmente prossime al 100%; ogni persona passa oggi almeno 2-3 ore on line e controlla 150 volte al giorno il proprio smartphone, per non parlare delle interazioni continue durante tutta la giornata sul web tramite il proprio pc.

Queste continue sollecitazioni digitali quotidiane espongono tutti a nuove fragilità, a disordinati venti e correnti che possono destabilizzare chiunque richiedendo al manager di dedicarsi alle sue persone con nuove attenzioni ogni giorno, perché ogni giorno il rapido e a volte contraddittorio evolversi degli eventi rischia di mettere in discussione quanto sembrava ormai consolidato.  

Cambiamenti interni all’azienda, di mercato, di strategie commerciali, di politica industriale, ecc, che se non messi a fuoco con chiarezza lasciano le persone in balia degli eventi: amorfe, rassegnate, ansiose o disorientate nella instabilità con tutto ciò che ne deriva.

Spesso le notizie che impattano sul lavoro si ricevono prima dal web e dai corridoi, in modo frammentato, parziale quando non inesatto o provvisorio. Su questo non si può far nulla, mentre molto può fare il capo nel mettere ordine al relativo groviglio informativo con lealtà e trasparenza verso le sue persone, dandone una visione diretta e una propria interpretazione.

Un esempio che riguarda anche le aziende pubbliche meno sollecitate: la riforma delle pensioni. Su di essa si è letto recentemente tutto e il contrario di tutto: come può impegnarsi sereno e motivato uno che si trova a cavallo della “quota 100” e non sa se deve continuare a lavorare un anno o dieci anni? O ancora, la riforma del mercato del lavoro, che dovrebbe incentivare le aziende ad assumere nuovo personale superando le precarietà: come può una persona lavorare serena senza conoscere il proprio destino professionale da precario e/o sottopagato?

Poi è chiaro che non essendo tuttologhi quando serve e al momento giusto si chiameranno in causa eventuali esperti, ma tutto nell’ambito di una unitarietà di approccio ed attenzione che avvolga le nostre persone.

Non è l’incertezza in sé che destabilizza – siamo abituati a conviverci tutti nell’era digitale -, ma è il caos e la destrutturazione informativa che spesso la accompagna a rendere ardua la resilienza da opporre per mantenersi con energia “on track” concentrati a fare del proprio meglio. Energia altrimenti sprecata a rincorrere certezze anche dove non ci sono. 

Di questo è fatta la nuova gestione di cui i manager sono responsabili, una gestione che -ancora una volta- parte dall’ascolto ed è inscindibile dalle priorità di business su cui è concentrati.

E in tutto questo a che serve la funzione del personale? A dare metodi e strumenti sempre aggiornati, a garantire la necessaria equità ed oggettività nella gestione delle persone scevre da condizionamenti di sistema, a presidiare la continuità e la uniformità di approccio da parte dei manager, a sviluppare delle politiche per le persone sostenibili, ad essere comunque punto di riferimento per tutti, a promuovere la mobilità tra le diverse funzioni superando qualche fisiologica resistenza da parte dei manager a mettere in gioco le loro persone migliori….  

Serve a moltissimo dunque, se saprà cambiare pelle. Ma questa è un’altra storia.

 

 

21 gennaio 2019

 

                                                                                Filippo Antilici de Martini di Valle Aperta

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