Organizzazione di impresa nell’era digitale: “come” fare la differenza (1a parte)

L’evoluzione tecnologica ha permeato così in profondità il sistema sociale che ogni azienda -anche se non sviluppa soluzioni digitali- è chiamata a fare i conti con nuovi fattori abilitanti per il proprio successo.

Senza questi nuovi fattori non si è più competitivi, semplicemente perché -come dicono i migliori luoghi comuni- la rivoluzione digitale ha cambiato il nostro stile di vita, il nostro modo di pensare e di agire, i nostri comportamenti d’acquisto.

L’economia digitale è diventata economia reale e con essa dobbiamo tutti prendere presto nuove misure, a cominciare da quelle organizzative.

“Digitale”, infatti, vuol dire lavorare in un sistema integrato in cui tutti i fattori di produzione operano in stretta collaborazione tra loro: persone, infrastrutture, piattaforme tecnologiche, data system e processi.

In tale ottica dotarsi di un sistema organizzativo appropriato serve a due finalità primarie: abilitare il funzionamento di tale nuovo sistema integrato e sostenere lo sviluppo di una cultura digitale.

Organizzazione e cultura digitale sono intimamente connesse tra loro perché, come molti sanno, il change management è la cosa più difficile da realizzare nelle imprese: occorre investirci fortemente affinchè le persone sia davvero capaci di accogliere il cambiamento, ma soprattutto è necessario accompagnare questo “salto culturale” con nuove soluzioni organizzative che lo rendano “inevitabile”.

Per fare realmente la differenza, l’organizzazione dell’impresa deve ora articolarsi in unità produttive agili che abbiano:

task precisi e obiettivi misurabili, con KPO – KPI che ne misurano l’avanzamento;
responsabilità chiare• un budget proprio, adeguato per funzionare con efficacia;
la delega completa per il raggiungimento dell’obiettivo
tutte le risorse necessarie disponibili (competenze, infrastrutture, hardware, ecc.). Risorse non per obbligo assegnate “gerarchicamente” alla funzione, ma utilizzabili on demand in modo veloce, totale e disintermediato. Una sorta di “pay per use”, regolato da contratti di servizio se si vogliono rendere queste unità produttive veramente “accountable”;
il totale governo del processo operativo su cui agire per il conseguimento del risultato finale. Ogni frammentazione tra più funzioni di un processo, o di una sua fase ben definita, disperde efficacia: sarebbe un po’ come giuntare un cavo in fibra ottica;
la capacità di generare, intercettare, elaborare dati• Confini di mandato netti rispetto alle altre unità produttive: tutto si gioca sulla fortissima complementarietà e integrazione tra più funzioni, ma se ci sono sovrapposizioni o “buchi” lo schema salta. Occorre un perfetto meccanismo di attribuzione dei ruoli non alle singole persone, ma al team che compone quell’unità produttiva, in modo che si sia poi liberi di interagire senza formalità evitando di andare in due sulla palla o di farla cadere;
Le competenze giuste per lavorare in squadra, senza ridondanze. Meglio attingere a “prestiti” o “consulenze” da altri settori/aziende che dotarsi di persone non pienamente ingaggiate verso l’obiettivo.
Un responsabile, e nessun altra gerarchia formale: no “capetti” intermedi con ruoli finti da “job title”. Tutti sono titolati a parlare con tutti, avendo un ruolo chiaro attribuito sufficientemente flessibile da adeguarsi al contesto in modo rapido.

Tale configurazione rende l’unità produttiva responsabile di un conto economico fatto di costi, investimenti e ricavi, la svincola da condizionamenti operativi e la rende depositaria di una fiducia che libera energie. Fiducia incondizionata di periodo, regolamentata da un meccanismo chiaro che a fine esercizio tira le somme premiando i successi e prendendo concretamente atto degli insuccessi.

Nessuna sovrastruttura dovrà poi essere disegnata: non solo è inutile, ma controproducente, perché le persone che ci lavorano generano entropia e alimentano costi aggiuntivi. Per evitarle basta non partire mai dalle persone nel pensare all’organizzazione, ma al contrario disegnare unità organizzative solo a fronte di un’esigenza fortemente sentita ed di una mission di business chiara a tutti.

Lo stesso vale per società capogruppo o altre “scatole cinesi”, che se non rispondono a filtri indispensabili di governance diventano altre sovrastrutture costose e time consuming.

Le unità produttive così disegnate saranno concentrate esclusivamente sul loro mandato di core business, sul relativo controllo e sviluppo; tutte le attività di supporto dovranno essere di mirato servizio al business principale, snelle e presenti solo in quanto generano valore con costi limitati. In questo ambito gli specialismi e le attività a basso valore aggiunto / a volume possono essere comprate all’esterno o, se veramente strategiche, collocate in dedicati poli specialistici. Con un’attenzione: in queste attività la job rotation naturale è pressochè inesistente, per cui inseriamoci persone con contratti flessibili e/o che ci offrono garanzie certe.

 

Filippo Antilici de Martini di Valle Aperta

 

[continua a leggere la seconda parte]

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