Organizzazione di impresa nell’era digitale: “come” fare la differenza (2a parte)

[Continua dalla prima parte]

In alcune aree in cui l’integrazione è fortissima diventa poi cruciale l’attività di program management: è ormai un ruolo strategico tra i più ricercati a livello mondiale, che regola e valorizza il contributo delle singole unità produttive (o aziende) verso un obiettivo comune.

In altre aree, invece, l’integrazione non può bastare e serve mettere soluzioni a fattor comune: che siano piattaforme, competenze o altro ancora, la loro capacità di essere replicabili e personalizzabili rendono il ciclo produttivo più standard, con un time to market veloce, a costi molto competitivi. Il superamento dei sistemi legacy e l’utilizzo di piattaforme comuni nasce su larga scala negli anni novanta, grazie alle piattaforme SAP (per i dati e i sistemi) e ai telai dell’automotive, e trova nell’epoca digitale applicazioni diffuse e talvolta indispensabili per competere.

Tutte le unità organizzative devono essere predisposte ed aperte alle suddette soluzioni di integrazione diffusa o di piattaforma comune, perché replicare -in virtù della propria autonomia- dati o output produttivi altrove già disponibili può essere fatale. Unità organizzative dunque pronte a contribuire a lavori congiunti di più soggetti –anche in competizione tra loro- e /o a personalizzare soluzioni sulla base di sofisticate strutture comuni.

Mai sottovalutare questi aspetti: da una squadra ben messa in campo nasce il buon risultato finale, che permette di agire velocemente con pochi passaggi in cui ognuno ha chiaro come muoversi.

Un organizzazione digitale così disegnata costa poco, è efficace perché si muove velocemente e ha sempre i suoi componenti integrati verso l’obiettivo finale. Ogni fase del processo genera sempre un valore aggiunto rispetto a quella precedente, permettendo a chi ci lavora di concentrarsi sulla creazione di tale valore senza dover “riprendere” i dati delle fasi pregresse con attività più o meno manuali, time consuming, a basso valore e a rischio errore.

Attenzione, perché l’evoluzione digitale procede in modo pericolosamente “subdolo”: è rapidissima, continua –non te ne accorgi che avviene- ma evolve con valori che procedono a “salti”, un po’ come fanno le lancette degli orologi digitali rispetto a quelle analogiche (in ingegneria si chiamano “grandezze discrete”). Con la differenza che se non governi lo “scatto”, avendolo previsto e gestito insieme agli altri meccanismi che lo generano, sei fuori dal gioco. E sarà difficile rientrarci.

Una conseguenza diretta dell’efficace assetto organizzativo messo in campo è la qualità del lavoro nel team e la motivazione delle persone, che in una organizzazione ben congegnata si sentiranno protagoniste di una avventura, di un progetto.

Buona organizzazione, cultura digitale e forte motivazione delle risorse che ci lavorano abilitano poi il conseguimento di un risultato che vale tanto quanto quello economico: la soddisfazione del cliente finale. Senza quella, è tutto così effimero e di breve termine che vale solo per il tempo dei primi consuntivi.

La soddisfazione genera fiducia, che a sua volta porta alla fidelizzazione dei clienti ed è quindi determinante per un successo duraturo. Essa è faticosa da ottenere e facile da perdere, ma se si conquista l’impresa potrà mettere al sicuro il proprio business, in un sistema in cui le alternative e i competitor sono infiniti e il cliente è sempre nelle condizioni di trovare – con un click o poco più – una soluzione a minor costo.

Se questo era vero già dai tempi della qualità globale nipponica della toyota, nell’epoca digitale è diventato determinante. La velocità, la complessità dei business e le alternative disponibili fanno la differenza rendendo la qualità una caratteristica di base del servizio e non un valore aggiunto: chi va più in un sito di e-commerce del quale non percepisce la piena affidabilità, solo per risparmiare pochi euro?

Chi non fa qualità, insomma, rimarrà prima o poi fuori dal mercato nel mondo digitale, anche perché i clienti si scambiano le informazioni sulla loro customer experience in modo così veloce e spietato da rendere tutto trasparente a tutti in poche ore.

E i clienti stessi sono sempre più esigenti, in ragione di un sistema industriale globale che mette loro a disposizione soluzioni – non semplici servizi – in modo praticamente infinito.

C’è comunque una leva in più su cui le aziende radicate sul territorio possono agire per essere più competitivi rispetto ai “colossi” over the top: la prossimità con il cliente intesa come presenza fisica, consulenza semplice e diretta, disponibilità ad ascoltare dal vivo i clienti e competenza nel dar loro l’indicazione giusta.

Anche nel mondo digitale avere davanti uno schermo o una persona per fare un acquisto non sarà mai la stessa cosa, varrà sempre moltissimo il rapporto di fiducia che si riesce a guadagnare guardandosi negli occhi, facendosi trovare dal cliente esattamente quando a lui serve (o quando ha una potenziale esigenza da soddisfare).

Perchè le incertezze dei clienti cresceranno di pari passo con l’aumento dell’offerta in termini di ampiezza e complessità, e saper costruire nell’organizzazione un modello go to market di presenza fisica affidabile e di partnership con il cliente resterà ancora come fattore distintivo. Attrezzarsi per farlo vuol dire aumentare di molto la capacità di penetrazione sul mercato e le probabilità di successo.

E questo vale, come si diceva all’inizio, non solo per chi sviluppa soluzioni digitali, ma anche per chi vende vernici o altre merci al dettaglio. Non a caso i grandi centri commerciali stanno perdendo smalto proprio su questo terreno, non riuscendo sempre -di fronte a una varietà immensa di prodotti negli scaffali- a saper consigliare con competenza quello più giusto per quel particolare cliente.

Due spunti finali.

Il disegno del nuovo modello organizzativo non è sempre detto che sia accolto dalle persone con entusiasmo, perché la resistenza al cambiamento è innata nell’essere umano. La discontinuità ha questo prezzo, e forzare un po’ sulla sua implementazione top – down è talvolta necessario; ma se si realizza velocemente e se si comunica bene in termini di razionali lascerà poco spazio ai “se” e ai “ma”.

In una organizzazione digitale, infine, occorre creare le condizioni per una innovazione continua. Questo lo si fa sia con la creatività e il giusto approccio proteso in avanti delle persone, sia con una dedicata attenzione organizzativa a confrontarsi sempre con gli altri.

I benchmark sono sempre più utili e sempre meno utilizzati, ma copiare da chi è più bravo non è di per se un disvalore se lo si fa con la giusta curiosità, umiltà e coraggio di aggiungerci del proprio. i paesi orientali ce lo insegnano da cinquant’anni, e ora che il “vecchio continente” è ormai indietro occorre mettersi in gioco con accuratezza anche sull’ascolto dei migliori. Le idee per innovare partono da lì, e non pensando modello “blu sky” al futuro.

Di conseguenza, qualcuno che nell’organizzazione sollecita questi meccanismi virtuosi di confronto contribuirà nell’applicare in concreto la necessaria innovazione continua.

E ci permetterà di chiudere il cerchio migliorando sempre la nostra organizzazione, con aggiustamenti frequenti che aggiorneranno il nostro business model in corsa, come tutti gli altri competitor nel frattempo stanno facendo.

 

Filippo Antilici de Martini di Valle Aperta

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