Abbiamo più volte parlato delle vicissitudini di Telecom Italia.
Ritengo che il male però, venga da lontano e che, in tutti questi anni non si è riusciti a fare una politica strategica per il rilancio della società ma, hanno cercato di prendere provvedimenti che, a Napoli definirebbero ‘’pannicelli caldi’’. Inoltre, da anni si parla della separazione tra rete e servizi che, non ha giocato a favore della società e ciò lo dimostra l’azionario in borsa che ogni giorno, da una partenza di 14 mila lire, pari a 7 euro, oggi abbia un titolo che vale 0,296 centesimi. Tenete presente, che ci vogliono circa 5 azioni per acquistare un caffè in una società che oggi, conta circa 37/38 mila dipendenti. Ma qual è la cura a questo? Come al solito è semplice, tagliare il personale, giocando sulle uscite volontarie o forzose.
Inoltre, il governo, quando vuole interviene e quando non vuole, risponde con facilità ‘’è una S.p.a e non posso fare nulla’’ chiaramente, parliamo di una risposta ipocrita che, come abbiamo già visto con moltissimi esempi di interventi, si sono rilevati errati.
Stiamo parlando della perdita di una compagnia telefonica nazionale che era la quinta al mondo, mentre oggi, viaggia verso il 22esimo posto. Le domande che mi sorgono spontanee sono, di chi è la responsabilità? Come hanno gestito? Come mai si è arrivati così in basso? Il nuovo amministratore delegato e direttore generale Pietro Labriola non ha la bacchetta magica ovviamente e non a caso sta giocando su quattro fronti che, secondo me, occorrerebbe verificare se siano strategici o catastrofici. Inoltre, Labriola, punta a creare partnership e aggregazioni, ragionando su due blocchi: rete e servizi.
A mio parere, bisognerebbe forse, tentare di creare, se possibile, un tavolo con il governo per cercare di valutare insieme una soluzione giusta per la prima volta e che punti alla salvaguardia del posto di lavoro che è diventato ormai uno slogan così come la nostra costituzione che, si cita ma non si rispetta.