Da Stato Pasticcere a Stato Comatoso

Dimezzare il debito pubblico in un giorno?

S-i p-u-ò f-a-r-e !

L’ex governatore della Banca d’Italia Guido Carli qualche decennio fa lamentava pubblicamente l’invadente ipertrofia statale che vedeva lo Stato coinvolto in attività non proprio attinenti alla gestione della cosa pubblica. Appunto, lo “Stato Pasticcere”.

Gli anni novanta hanno visto lo Stato perdere il cappello del pasticciere. Ma la cura dimagrante era solo agli inizi mentre si cercava anche di ridurre un ingombrante debito pubblico che aveva garantito, fino a quel momento, pace sociale e apparente prosperità. Ma il debito pubblico da allora e a dispetto dei mille decantati tentativi non si è mai ridotto. Anzi! Senza entrare in noiosi quanto arcinoti dettagli del nostro debito pubblico in termini di stock, di deficit o surplus, ovvero di trend di lungo periodo, vorrei porre l’attenzione sul fatto che nell’Italia dell’evasione fiscale, del malgoverno e dei privilegi solo un fattore ci ha portato e ci tiene sull’orlo del baratro: lo stock di debito pubblico che ammonta a quasi 2 mila miliardi di euro e il costo del servizio di questo debito enorme che è un drenaggio netto di ricchezza dalle mani dei cittadini e imprese.

Questo e solo questo è il male dell’Italia. Risolviamo questo problema e l’Italia risorge. Ebbene, come nel famoso quanto spassoso film di Mel Brooks, ridurre il debito pubblico dell’Italia “dalla mattina alla sera”: “S-i p-u-ò f-a-r-e !” o meglio, si deve fare. Vediamo come.

Stock di debito: siamo nel “conto patrimoniale” dello Stato italiano. Tasse: siamo nel “conto economico”. Non si fa altro che parlare di nuove tasse per ridurre lo stock di debito. Come dire, l’ Italia deve spingere sulle entrate. Sulla vendite di pasticcini, tanto per mantenere il parallelismo. Ma dopo che abbiamo spinto al massimo sulla vendita di questi pasticcini, o meglio di ulteriori tasse, il mercato (o il contribuente) non è più in grado di assorbire ulteriori “pasticcini” o “tasse” che siano. Si rischia il tracollo.

Crescita economica. Non si fa altro che parlare di crescita economica per ridurre lo stock di debito. Come dire: più i cittadini lavorano, più guadagnano, più pagano tasse, più si abbatte il debito.

Niente è più fallace di questi ragionamenti che funzionano solo nella teoria o per lo meno in situazioni di stock di debito “umane”. La realtà è che gli investitori professionali e i risparmiatori mondiali, inclusi i nostri fondi pensione italiani, che devono investire i loro proventi per poter pagare le future pensioni, hanno già fatto i conti in tasca all’ Italia e la danno quasi spacciata.

Il problema dell’Italia è uno solo e la via di uscita ordinata è una sola. Altrimenti è il tracollo disordinato, di cui abbiamo già avuto tragica esperienza.

L’azienda Italia si presenta quotidianamente al cospetto del suo prestatore di denaro e, con le orecchie basse, chiede ogni giorno al suo finanziatore nuovi soldi, per nuovi debiti. Più soldi chiede, più il rischio di non rivedere un soldo indietro sale per il creditore, più il creditore, percependo tale rischio, chiede un tasso di interesse via via più alto. Più lo Stato italiano paga un tasso di interesse alto, più le sue aziende, anche loro purtroppo, quando si presentano dal loro banchiere a chiedere soldi, pagano il debito via via sempre più salato.

Tecnicamente, il debito “sovrano” (cioè emesso da uno Stato che abbia diritto di signoraggio, facoltà cioè di stampare denaro) è “risk-free”, senza rischio. Questo perché almeno nominalmente, il “Signore” ripaga sempre i suoi debiti … stampando altro denaro, al prezzo di una inflazione esplosiva e restituendo pertanto ai creditori carta straccia. Altra manovra nelle mani del “Signore” per restituire i debiti ai creditori internazionali è la svalutazione della sua moneta rispetto alle altre, del cambio ufficiale con le altre valute. Il risultato, con strumenti diversi e con effetti leggermente diversi, è lo stesso: socializzazione delle perdite a tutto beneficio del Signore scialacquone.

Questa appena descritta è l’Italia prima dell’entrata nell’euro. Un’Italia con svalutazioni ricorrenti: l’Italia del Primo Ministro Giuliano Amato che nell’11 luglio 1992 prima mise le mani nei conti correnti dei suoi “sudditi” con un prelievo forzoso del 6 per mille (con una manovra di 30.000 miliardi di lire), dissanguandoli, poi, non pago, nell’autunno dello stesso anno varò una manovra finanziaria "lacrime e sangue" da 93.000 miliardi di lire (contenente tagli di spesa e incrementi delle imposte), per frenare l’ascesa del deficit pubblico, e la prima riforma delle pensioni. Tutto ciò dopo che Domenica 13 settembre lo stesso Giuliano Amato annunciava in tv la svalutazione della lira dopo un’ intera estate di tensioni e dopo una estenuante, costosa battaglia per difendere il cambio. La moneta italiana era svalutazione del 3,5 per cento e rivalutata di egual misura di tutte le altre monete europee. E se la matematica non m’inganna, l’operazione di impoverimento fu per un totale del 7% secco più le tasse che erano state tolte inutilmente dalle tasche dei cittadini italiani per la famosa “difesa della lira”. Una difesa tanto inutile quanto costosa. Un tracollo disordinato quanto maldestro.

3 ottobre 1990. Data della riunificazione tedesca. Francia e Italia vogliono creare un contraltare alla nuova potenziale minaccia tedesca “uber alles”. Il prezzo (se così si può dire) dell’unificazione tedesca è la nuova moneta, che dovrebbe diluire la potenza tedesca in ascesa. Nasce l’idea dell’euro.

1992. Trattato di Maastricht. Creazione dell’Unione economica e monetaria. Nasce l’euro. La valuta che conosciamo che verrà introdotta il primo gennaio 2001. Gli Stati nazionali perdono tutti la facoltà di stampare denaro. La Banca Centrale Europea è il nuovo “Signore”.

2011. Oggi. Lo Stato italiano annaspa stretto dai debiti e dal costo di servizio del debito. In altri tempi non ci si sarebbe pensato due volte: la risposta sarebbe stata la socializzazione delle perdite, con una bella manovra da “gran” Signore. Oggi non si può più. Non si può più intervenire sulla variabile “monetaria”. La variabile monetaria è ormai variabile esogena, della BCE. Si può intervenire soltanto su variabili endogene, “reali” come si dice tecnicamente. Solo cioè sulle parti costituenti il reddito nazionale che per quanto riguarda lo uno Stato si riassume nella spesa pubblica e la sua contro partita delle tasse e … udite, udite sul lato del conto patrimoniale.

E siamo quindi giunti al punto cruciale.

Patrimonio dell’Italia: ammontare pari a circa 2 mila miliardi di euro. Terreni, caserme, fari, beni immobiliari di vario genere, gioielli di famiglia. Debiti si Stato: ammontare pari a circa 2 mila miliardi di euro. Posizione netta: zero. Così come dal marcescente ammasso di carni, Mr Frankestin ad un certo punto, nel famoso quanto spassosissimo film di Mel Brooks, si rese conto che … “S-i p-u-ò f-a-r-e ! ”. Ebbene si. Dimezzare il debito pubblico “dalla mattina alla sera” non solo si può fare ma è l’unica soluzione per sopravvivere, dimezzando il patrimonio a questo Stato scialacquone e ridando dignità agli italiani, gran risparmiatori e persone oneste, oltre che nuova linfa vitale per lo sviluppo economico.

Vediamo come si possa fare e gli effetti immediati.

Effetto annuncio (con effetti di natura monetaria): il presidente del consiglio Monti annuncia una manovra di 500 miliardi (oltre a quanto già annunciato) nei prossimi due anni attraverso la dismissione di patrimonio immobiliare di Stato. Tali beni sono apportati dallo Stato in un fondo di investimento di tipo “immobiliare” (oltretutto con benefici fiscali per gli investitori) istituito da una società di gestione del risparmio di proprietà della Cassa Depositi e Prestiti (a sua volta del Ministero dell’ Economia e Finanza). Le quote di tale fondo di investimento sono acquistabili solo contro titoli di Stato Italiano.

E’ da notare che un titolo di Stato oggi è trattato sul mercato secondario a sconto fino anche al 40%, mentre il valore di libro sulla contabilità nazionale è alla parità, cioè al 100% del valore facciale del titolo. L’investitore acquista pertanto sul mercato il titolo che gli sembra più a buon mercato, il “cheapest-to-delivery” come si direbbe nel mercato dei futures, pagandolo 60, barattandolo contro un bene che vale 100, con un guadagno netto del 66.6%. Lo Stato cancella il titolo annullando la posta passiva in bilancio, riducendo pertanto lo stock di debito pubblico.

L’ effetto annuncio scatena una corsa ad accaparrarsi titoli di Stato italiani perché quei guadagni “a costo zero” non durano a lungo. La corsa all’accaparramento dei titoli di Stato, per scambiarli con quote del fondo immobiliare, farebbe lievitare i prezzi dei titoli di Stato con una meccanica e paritetica riduzione dei tassi di interesse pagati dal debitore che ha ritrovato la sua credibilità. Anche le aziende avrebbero una immediata boccata di ossigeno perché pariteticamente il costo del loro denaro preso a prestito si muoverebbe di conserva.

Effetto “crowding out”… al contrario (con effetti di natura reale) . Il solo fatto di dare nuova linfa vitale a immobili, “immobili” fino a quel momento, darebbe uno slancio al prodotto interno lordo italiano. Il costo di servizio del debito venuto meno da parte dello Stato rilascerebbe una tale quantità di masse monetarie alla ricerca di investimenti produttivi che le aziende sarebbero inondate di credito alla ricerca di ritorni interessanti. Il rischio sistemico del Paese si abbatterebbe e nuovi ed ulteriori investitori anche esteri sarebbero attratti nel Paese.

Oltretutto il Governo non perderebbe il controllo di tali beni, essendo la società di gestione di sua proprietà, anche se poi con quotisti terzi investitori che si trasformerebbero da cittadini-creditori in cittadini-azionisti. Un debt-to-equity swap, in ultima istanza, tanto per dirla in sintetici termini inglesi. Debt-to-equity swap, quello che si mette in opera nelle aziende sull’orlo del fallimento. Come il nostro Stato.

Fantascienza finanziaria? Troppo facile? Un sogno? Ma se fosse possibile e fosse così semplice, perché non si fa?…

Un signore della Prima Repubblica diceva: “a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca”. Mi sono chiesto più e più volte perché non si possa fare questa manovra. Perdita di potere della casta. Troppo potere ai cittadini. Perdita dei gioielli di famiglia. Clientelismi che vengono meno. Risposte che non mi convincevano. Poi l’illuminazione. E’ una operazione senza contante. Solo scambio. Scambio di beni contro altri beni. E dove non c’è contante non c’è possibilità che qualche spicciolo … cada dal banco… mi sono spiegato?

Lo scenario è quindi drammatico. Si preferisce tener sotto farmaci il paziente in stato comatoso con un accanimento terapeutico per continuare a vendergli medicine, piuttosto che intervenire chirurgicamente e rimuovere il cancro del debito salvando la vita al paziente.

Questa è la nostra classe politica che ci porterà al tracollo disordinato. I mercati lo hanno già messo in conto. Siamo in Stato Comatoso.

Altri articoli dell'autore

Advertisment

Puoi leggere anche...

567FansLike
1,441FollowersFollow

Ultime notizie

Agroalimentare e la sua filiera

I lettori di Sentieri Digitali hanno avuto modo di comprendere l’impegno costante per un settore così strategico del nostro Paese e dell’Europa. Nell’ambito della...

L’acqua

L’acqua vuol dire vita e quindi è un bene primario. Senza fare polemiche è ben rappresentare che la rete idrica del nostro paese a dir...

Comunità Energetica

Il Clean Energy for Europe Package è basato su una proposta della Commissione Europea del Novembre 2016 e definisce gli obiettivi e la strategia...

Vuoi avere le notizie aggiornate ogni mercoledi?

Iscriviti alla newsletter

LinkedIn
LinkedIn
Share