5 storie di management da cui imparare

  1. Il manager che si credeva indispensabile

 

Era mattino presto e telefono a Laura per comunicarle che ho la febbre alta e non potrò andare in ufficio: nelle nebbie dell’improvvisa influenza mi ricordo che quella è una giornata importante, con molte riunioni indifferibili alle quali proprio non posso mancare. Le balbetto qualcosa circa il necessario coinvolgimento dei miei collaboratori, e poi cado in un sonno catartico convinto che qualcosa di irreparabile sarebbe accaduto.
La mattina dopo mi sento meglio, ritelefono in ufficio più lucido per conoscere quali problemi si fossero ingenerati dalla mia forzata assenza in un momento così importante.
Ebbene: non era successo niente, tutte le riunioni si erano svolte nel migliore dei modi e le persone che mi avevano rappresentato erano state all’altezza della situazione almeno quanto me.
Lì per lì ci sono quasi rimasto male, convinto dalla mia autostima di essere in quel momento davvero indispensabile. Così invece non era, le persone che lavoravano con me erano addentro alle questioni da tempo e avevano agito con livelli di eccellenza incredibili ai miei occhi. La completa autonomia in cui si erano trovati aveva poi fatto la differenza permettendo loro di esprimersi liberamente tirando fuori il meglio, da veri protagonisti del tavolo.
La storia è banale, la morale molto meno: la delega è qualcosa di insito in una buona organizzazione, spesso occorre solo liberarla e lasciare esprimere le persone superando la presunzione che si, gli altri sono bravini, ma quando il gioco si fa duro solo noi riusciremo a fare la differenza.
Questo naturalmente presuppone lavorare bene prima sul team e sulle persone in modo che siano preparate e ingaggiate anche senza il nostro “permesso”, e magari anche tollerare qualche loro prima sbavatura “pubblica”: ci sta.
Costruiamo dunque questo percorso e diamo spazio alle persone che lo meritano, spazio che si rifletterà nella crescita loro e di tutta l’organizzazione. Tanto anche senza di noi il mondo va avanti lo stesso…
Se invece così non fosse, e cioè se nella nostra organizzazione fossimo davvero indispensabili, allora abbiamo un problema: o siamo noi, o sono le nostre persone oppure è l’organizzazione.
 
 
  1. La vision del pilota di rally

 

 Pensavo di essere un guidatore provetto finché mi si sono seduto su un auto da rally accanto ad un pilota vero, che ha percorso il tragitto su cui avevo appena arrancato al volante con una velocità doppia rispetto alla mia e in tutta sicurezza.
Nelle successive prove quel pilota istruttore mi ha spiegato il primo segreto per andare forte: l’uomo è abituato a guardare davanti mettendo a fuoco ad una distanza di un metro circa, perché per millenni la sua evoluzione lo ha portato a camminare o al massimo ad andare a cavallo.  E noi alla guida lo facciamo ancora, perché è nello spirito della natura umana che sia così.
Allenarsi a guardare molto più avanti del solito in ragione delle superiori velocità che ci permette un auto da rally, anche senza visuale, abilita il pilota a guardare ben oltre il primo ostacolo e ad a percorrere molto velocemente tracciati tortuosi. Poi per essere campioni di rally servono altre capacità, certo, ma spostare il focus della propria visuale in alto e in avanti di molti metri è il primo fattore necessario. Utile anche nella guida di tutti i giorni, come ormai viene diffusamente insegnato nelle scuole di guida sicura.
Morale: quando si guida una struttura organizzativa o un’azienda serve attrezzarsi con una vision strategica per guardare in alto e lontano, in modo da affrontare le prime difficoltà che arriveranno conoscendo la giusta traiettoria da compiere e la più indicata velocità di entrata ed uscita dalla “curva”, con la mente già proiettata ad analizzare la curva successiva.
Con il management del day by day potremo al massimo pedalare in bicicletta. 
 
 
  1. Il colore marrone della sciarpa rossa: la soggettività nei rapporti con gli altri   

 

Alle sette di sera, in una piazza romana molto frequentata, avevo concordato un prezioso appuntamento con un fotografo di prestigio. Non ci conoscevamo, e lui mi aveva detto che lo avrei riconosciuto dal fatto che indossava una sciarpa rossa sopra il cappotto.
Dopo un quarto d’ora di attesa ricevo una sua telefonata tra il seccato e l’incredulo per il mio ritardo, nonostante io fossi lì da molto prima dell’orario concordato e dell’uomo con la sciarpa rossa non vedessi traccia.
Ci troviamo a quel punto rapidamente, e scopro che in realtà quella che per lui era una sciarpa rossa per me era una specie di collo alto marrone che mai mi avrebbe permesso di identificare il mio target.
Ma quella era la realtà mia, non la sua evidentemente, che si riconosceva nella diversa descrizione attraverso cui lo avrei dovuto rintracciare.
Morale: la soggettività ed il diverso angolo visuale con cui due persone guardano alle cose è parte della nostra vita, essendo tutti noi individui per definizione diversi l’uno l’altro. Se non ne teniamo conto nei rapporti con gli altri e guardiamo solo la nostra immagine, invece che quella dell’altro, non costruiremo mai la necessaria sintonia organizzativa necessaria a mettere in comune idee, progetti e soluzioni. Per trovare quella sintonia ed includere gli altri appieno occorre sempre porsi il dubbio di come il nostro interlocutore vede quella che noi pensiamo essere la realtà. Nella soggettività e negli equivoci derivanti dal diverso modo di vedere le cose si nascondono molti fallimenti manageriali e molte occasioni perse.       
 
 
  1. I chicchi di riso e l’impossibile governo dell’innovazione dell’e-leader

 

Quando l’ambasciatore persiano in Egitto mostrò al Faraone il gioco degli scacchi, questi lo guardò perplesso ed incuriosito. Dopo aver ascoltato con molta attenzione le regole ed effettuato una partita dimostrativa, i due si sfidarono per tutta la notte. Il Faraone, nonostante le ripetute sconfitte, imparò ad apprezzare la bellezza degli scacchi e la genialità del suo avversario.
Così, a dispetto delle numerose sconfitte, volle dimostrare al suo ospite la propria gratitudine. Invitò allora l’ambasciatore ad esprimere un desiderio e gli promise di esaudirlo.
L’interpellato rispose che voleva solo del grano: un chicco sulla prima casella della scacchiera, due chicchi sulla seconda, quattro sulla terza e così continuando e raddoppiando, fino alla sessantaquattresima casella.
Il Faraone era stupito da una richiesta a suo parere così modesta e diede ordine al Gran tesoriere di provvedere immediatamente.
Il funzionario trascorse oltre una settimana a fare i conti. La cifra risultava improponibile. Così andò a corte e dichiarò: “Per pagare l’ambasciatore non solo non è sufficiente il raccolto dell’intero Egitto, ma non lo è neppure quello del mondo intero, e non lo sarebbero nemmeno i raccolti dell’intero mondo nei prossimi dieci anni!”
Morale della novella romanzata: la crescita esponenziale che sta cambiando il mondo è impossibile da governare. Nel 2005 Spotify, Iphone, Ipad, la connettività 4G, il sistema android, Whatsapp, Airbnb, Instagram, Snapchat, ecc. semplicemente non esistevano, mentre oggi sono prodotti entrati a far parte delle nostre vite al punto che non ne possiamo fare a meno. Negli ultimi 13 anni queste innovazioni hanno modificato radicalmente la nostra vita, e già ce lo siamo dimenticati, “vittime” come siamo delle prossime evoluzioni che la continua innovazione esponenziale ci consegnerà.
In questo contesto, per la verità un po’ inquietante, la e-leadership di cui tanto si parla non ha più nulla a che fare con il “controllo” di persone e processi, ma con la necessaria intuizione che – dato un domani esponenzialmente diverso dall’oggi – servono competenze sul mondo digitale, discontinuità di approccio e soprattutto sistemi integrati/interconnessi, come l’ormai famosa blockchain. Il valore di quest’ultima sta nel fatto tutti i fattori organizzativi della produzione si tengono e si alimentano tra loro sulla base di nuove regole rette dalla fiducia, dalla responsabilità personale e dal decentramento delle decisioni.
Per innovare serve dunque un nuovo paradigma di governance, che al di là delle frasi fatte rovesci la scacchiera su cui il leader tradizionale sta oggi giocando la sua partita. L’e-leader di domani e il manager di oggi, insomma, sono profili sideralmente distanti tra loro: se nel vecchio continente arriveremo presto a questa consapevolezza potremo forse riuscire a competere nella prossima partita che si sta profilando.
 
  1. Il violinista nella metro*, l’attenzione agli altri e i talenti

 

In una fredda mattina del gennaio 2007, un musicista che suonava in strada si sedette su un gradino con il fodero del violino aperto all’ingresso della fermata della metropolitana "L’Enfant Plaza" in Washington DC. Erano quasi le otto, un’ora di punta in cui gli passavano davanti a frotte le persone, quasi tutte dirette al lavoro.
Suonò quarantacinque minuti musiche di Bach, Schubert, Manuel Ponce e Massenet. Dopo tre minuti, un uomo di mezza età si accorse del musicista. Rallentò il suo passo, si fermò alcuni secondi e riprese il cammino. Un minuto dopo il suonatore ricevette il suo primo dollaro; senza fermarsi, una donna lanciò un banconota nel fodero del violino. Alcuni minuti dopo, un individuo si fermò alcuni istanti ad ascoltare, ma guardando il suo orologio riprese a camminare in fretta… stava facendosi tardi.
Chi gli fece maggior attenzione fu un piccolo di tre anni circa. Sua madre lo prese e lo tirò, ma il piccolo continuava ad ascoltare il violinista. Finalmente, sua madre lo prese con forza e continuarono il cammino. Il piccolo, intanto che camminava, continuava, con la testa girata, a guardare il suonatore.
Durante i quarantacinque minuti in cui suonò, solo sette persone si fermarono ad ascoltarlo brevemente. In tutto il tempo riuscì a riunire 32 dollari. Nessuno fece caso quando il violinista smise di suonare. Nessuno lo applaudì. Tra le circa 1.000 persone che passarono davanti a lui, nessuno lo riconobbe.
Il violinista era Joshua Bell, uno dei migliori musicisti del mondo. Nella fermata della metropolitana suonò alcuni tra i più difficili spartiti che mai siano stati scritti con uno Stradivarius del 1713 valutato 3,5 milioni di dollari. Due giorni prima di questo fatto, non c’erano già più biglietti in vendita per il suo concerto nel teatro di Boston, e i biglietti costavano quasi 100 dollari.
Morale: l’attenzione ai particolari, l’ascolto e l’osservazione di ciò che abbiamo intorno, assieme all’opportunità di cogliere cose straordinarie che abbiamo sotto gli occhi, sono fattori di successo mai abbastanza praticati, nel management come nella vita. Concentrarsi nel prendere la prima metropolitana utile darà il giusto ritmo al day by day, ma rischia di farci perdere la lettura del contesto in cui ci muoviamo e con essa molte occasioni. L’ ”open mind” della leadership passa di qui.
Ancora, i talenti non stanno nelle mappature elaborate in powerpoint dagli esperti delle funzioni del personale, ma dove meno ce li aspettiamo: la qualità di individuarli non è una scienza infusa ma nasce dalla curiosa osservazione di ciò che abbiamo intorno.
Infine, dal violinista solo un bambino si fermò ammaliato per quello che stava accadendo: la mancanza di sovrastrutture mentali e di pregiudizi verso chicchessia, la sua innocenza e curiosità avevano fatto la differenza. Ci sarà un perché…
 
                                                                       @@@@@
 
Se rileggete le storie troverete probabilmente altre “morali” che fanno ancora di più al caso vostro, di insegnamento su qualche principio fondamentale a volte trascurato. Per essere manager adeguati ai cambiamenti in corso, un reset ed una riflessione su questi temi può far bene.
 
Roma, novembre 2019                                                       
 
   Filippo Antilici de Martini di Valle Aperta
 
*questo particolare esperimento effettuato dal Washington Post è stato nel tempo abbastanza divulgato, ma più per impressionare che per riflettere.   
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