La Giornata di Formazione

Ogni giorno ognuno di noi sperimenta necessariamente i propri limiti nel tentativo di riuscire a conviverci nel migliore dei modi.
 
Esporsi emotivamente, riconoscere di non essere tanto o affatto adeguati a svolgere quel compito, avere il coraggio e la consapevolezza della propria vulnerabilità: che la circostanza riguardi una relazione, una conversazione in famiglia, una riunione di lavoro o un colloquio, la differenza importante che può aiutare a spiccare il volo la fa chi coglie che il perfezionismo può essere un’arma a doppio taglio.
 
I giovani dai 18 anni -circa- incominciano a dover conoscere e affrontare la realtà dei colloqui di lavoro. Anche qualora suddetti colloqui non dovessero andare come sperato, li si può sempre considerare un’occasione di crescita personale che ci porta a riconoscere i punti di debolezza su cui lavorare al fine di arrivare al prossimo più consapevoli e preparati.
Bisogna imparare ad accettare le sconfitte e l’approccio con i propri limiti e, ancor più soddisfacente, capire dove si può migliorare. È un punto di partenza, più che di arrivo. Per rendere le nostre competenze evidenti e appetibili al mondo del lavoro bisogna conoscerne i meccanismi selettivi interni. A questo scopo, per aiutare chi come noi si trova in questo passaggio sospeso fra periodo di formazione e lavoro, vogliamo affrontare il tema dell’assessment in fase di colloquio. Prima di assumere un nuovo dipendente un’azienda ha necessità di testare il soggetto per capire se ha le giuste potenzialità per inserirsi al meglio fra i propri ingranaggi. A tal fine, il candidato viene sottoposto a una o più fasi di intervista che può essere collettiva o singola. Ad occuparsene sono generalmente psicologi, o ancor meglio sarebbe esperti nel settore delle HR in grado di cogliere tutte le sfumature caratteriali mascherate dalla tensione cui potrebbe sentirsi sottoposto il candidato. Una volta capita la propria valutazione, scandagliate le qualità e individuato il potenziale la strada, che può avere un’elevata pendenza e magari essere anche dissestata-se non si ha l’adeguata motivazione- può essere però fonte di grandi soddisfazioni una volta arrivati alla mèta. Come intendiamo percorrere questa strada è lasciato a noi una volta che ci siamo misurati con la valutazione dell’assessor. Che corrisponda o meno, secondo noi, con quello che siamo davvero, deve comunque essere considerata in modo critico. Si tratta di imparare a gestire gli  attimi di “istintività” che possono seguire a un assessment negativo e di decidere con maturità fra l’affermare “mi fermo” oppure “non è così, ho intenzione di andare avanti”.
 
Alcune cose saranno evidenti in primis ai nostri occhi, altre ci porranno in uno stato di ansia e irrigidimento che potranno non farci rendere al meglio nei primi test. Ma se il potenziale, o è presente non sarà difficile camminare e se ci si affiancherà la motivazione si rischia anche di poter camminare bene.
 
Tutto sta in un assessment ad hoc per ciascuna impresa/azienda, cercando di arginare quanto più possibile gli errori e fornendo gli strumenti necessari per far risaltare le capacità: variabilità che include flessibilità, adattamento al cambiamento, problem solving creativo e divergente, buon livello di energie; capacità intellettuale o cognitiva: problem solving di tipo pratico, decisionale; manageriale: gestione in generale, prendere delle decisioni, organizzare lavoro proprio o altrui- time management-; gestione dei collaboratori; area relazionale: saper essere guida e leader, gestione dei conflitti, organizzazione del team, cooperazione e consapevolezza.
 
E’ necessario fare una distinzione tra il cosiddetto “potential” ovvero l’individuo che è già in possesso di alcune capacità che si richiedono per quel compito specifico e chi invece non ha queste capacità auspicabili funzionali per quell’ambiente. Nel primo caso sarà sufficiente dare a quell’individuo gli incipit e gli strumenti
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