Gestione delle aree urbane – Dalle rovine di Detroit…

L’uomo ha fatto molta strada, a partire da 70.000 anni fa. Nel 1800 nel mondo eravamo un miliardo, nel 1950 due miliardi e 500 milioni, oggi siamo a 7 miliardi e le previsioni dicono che nel 2050 si arriverà a 10 miliardi. Oggi la Cina ha 1 miliardo e 380 milioni di abitanti. L’India nel 2050 avrà 1 miliardo e 700 milioni di abitanti. La Nigeria nel 2100 sarà dietro solo a Cina ed India. Vi è una forte crescita delle megacittà, nel 2030 saranno 41. La gestione delle aree urbane rappresenterà una grande sfida.

Il caso Detroit è stato un vero fallimento: nel 2013 ha dichiarato bancarotta. Da città dei motori alla rovina. Nell’arco del ‘900 è cresciuta molto, diventando un grande centro automobilistico, durante l’ultima guerra era centro di riferimento per la costruzione di carri armati. Oltre che città del nucleare era anche un grande polo di attrazione a livello artistico. Poi il grande abbandono della città, nel 2014 oltre 40.000 abitazioni sono state pignorate e messe all’asta a meno di 500 $, 80000 edifici sono in disuso. Una città che si è anche contraddistinta per l’alto inquinamento, durante gli anni ‘40/’50 si consumava benzina con piombo. L’inquinamento nel suolo è tutt’oggi molto alto. Molte aziende agricole coltivano il terreno con degli alberi per rigenerare il terreno e l’ambiente. Nel primo trimestre del 2013 le luci delle strade erano tutte spente per morosità, molte scuole chiuse e messe in vendita.

Oggi Detroit è un laboratorio pieno di grandi spazi, si spera molto in un ritorno di nuove iniziative. Vi sono molti progetti per il lavoro nei campi agricoli di quartiere e per la produzione di carote, patate, fragole, per i cittadini e per il mercato. Da un modello che è fallito, si prova a ripartire nel modo più consapevole. Politici, studiosi, urbanisti, ambientalisti, per la rinascita (non solo a Detroit) puntano ad un modello non tanto di quantità, ma di qualità.

Dobbiamo seguire il giusto percorso verso la sostenibilità globale, perseguendo una vita di impegno e di benessere, secondo i limiti concessi dalla terra (510 milioni di km quadrati è la superficie). Il capitale naturale è sinonimo e analogia della nostra sopravvivenza. La televisione descrive nei dettagli situazioni simili a Detroit, ma sembra che tutto ciò non vada a riguardare i governanti. Necessario un impegno diffuso per aumentare la qualità della vita e con essa anche la nostra felicità. L’economia deve rendere la felicità dell’uomo, al servizio del quale, in modo reciproco, serve una cultura civica. Inoltre, abbiamo la tecnologia che ci può dare un grande sostegno nel monitoraggio del territorio, cosa aspettiamo?

Jeff Aronoff, direttore dell’organizzazione no-profit D:hive, sostiene che “servono invece piccole imprese che generino introiti fiscali e rispondono alle necessità di base dei residenti. Detroit non deve essere la ‘nuova qualcos’altro’, che sia Brooklyn o la Silicon Valley, ma la prima Detroit”. Francesca Berardi, autrice della guida ai luoghi d’arte “Detour in Detroit”, racconta: “Detroit non è solo un emblema degli effetti più devastanti della crisi americana: c’è la rabbia del senso di abbandono, l’orgoglio di chi è sopravvissuto, la tensione fra la consapevolezza di trovarsi in una delle città con il tasso di omicidi più alto d’America e la scoperta di uno straordinario senso civico e di collaborazione. C’è anche la più ben riuscita espressione dello spirito americano del ‘do it yourself’, l’autorganizzazione dei cittadini nata in risposta a decenni di cattiva amministrazione”. Oltre alle affascinanti rovine industriali, spiega la Berardi, ci sono storie che portano ancora l’eredità di un passato glorioso, che possono diventare un esempio per la costruzione di un futuro diverso, più equo e sostenibile. 

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