La gestione dell’incertezza

Siamo in un momento di grande incertezza, recitava un uomo seduto con la testa tra le mani in una vecchia vignetta di Altan: godiamocela, gli replicava l’altro, perché quando diventerà certezza saranno guai seri.
 
Ecco, in questo quadretto umoristico è racchiuso esattamente come non comportarsi in situazioni del genere facendosi prendere dall’ansia, dalla preoccupazione e dal fatalismo, stati emotivi che sommati tra loro trasformano la prospettiva di quella incertezza in negatività futura ineludibile.
 
Affrontare queste situazioni con lucidità è diventato assai importante, prima di tutto perché conviviamo in situazioni complesse ed incerte molto più di quanto accadeva qualche anno fa, quando il lavoro stabile, la carriera e lo sviluppo delle attività economiche permettevano una pianificazione della propria vita professionale e sociale che dava pochi spazi alla variabilità. Inoltre l’uomo odia per definizione l’ambiguità e sente il primario bisogno di fare previsioni per vivere con serenità; l’incertezza destabilizza, genera paura e indebolisce le risorse cognitive e sociali abbassando le nostre difese. Se non si riesce a governare questo stato emotivo diventa sostanzialmente impossibile gestire situazioni e problemi, a causa della fragilità ed insicurezza che ingigantiscono le difficoltà percepite portandoci a vedere più fantasmi di quelli che effettivamente ci sono.
 
In sintesi si rischia di avere meno risorse proprio nel momento in cui le persone e le organizzazioni ne hanno più bisogno.
Di qui l’esigenza di riprendere in mano qualche fondamentale della nostra stabilità emotiva e professionale adottando contromisure utili a non subire passivamente la situazione indeterminata che ci ha coinvolto o travolto, ma a gestirla in tutte le sue variabili su cui possiamo far leva. Che non sono infinite evidentemente, perché se la Federal Reserve aumenterà o no i tassi ovvero se la guerra dei dazi Cina – Usa si sposterà in Europa non dipende certo da noi, ma altrettanto certo è che possiamo adottare soluzioni capaci di orientare il nostro percorso personale e professionale in una direzione di controllo dell’incertezza e di gestione degli impatti che ne possono derivare.
Un buon difensore gioca di anticipo e cerca per quanto possibile di prendere la palla prima dell’attaccante avversario, perché poi levargliela sarà molto più difficile e tutta la squadra rischierà di soccombere.
 
Insomma let’s move per non subire
Anzitutto serve un corretto problem setting:
  • prima per collocare nella giusta scala di valori la dimensione di incertezza che stiamo vivendo. Rischiare di perdere il posto di lavoro, di non arrivare con i soldi a fine mese o di vedere la propria azienda fallita non è la stessa cosa di concorrere per una promozione e non sapere come andrà a finire. Dare ai problemi un valore “pesato” con maggiore oggettività di quella che il nostro istinto ci dice serve ad essere più lucidi nell’affrontare le turbolenze e nel guardare a cosa fare domani, e ci può permettere – più spesso di quanto pensiamo – di riposizionarci con maggiore serenità rispetto ai passi da fare. Niente di filosofico: è un po’ come quando la notte ci rigiriamo nel letto vedendo insormontabili fantasmi nel domani che poi alla luce del giorno successivo, (più o meno) riposati, si sciolgono come neve al sole.
  • Poi per entrare nel merito del problema ed analizzare il più oggettivamente possibile il suo contesto e tutte le variabili in gioco, soffermandoci su quelle su cui possiamo incidere. Sono sempre più di quanto pensiamo, e il loro esame approfondito ci permette di capire in che misura possiamo utilizzarle per far fronte alle difficoltà, prevenirne gli impatti o semplicemente lenire alcune ripercussioni.
Fare questo ha una grande importanza perché ci costringe a pensare al domani, e quindi ad uscire dal cul de sac in cui troviamo intervenendo su quella fatalistica immobilità che è la peggiore prospettiva.
 
Insomma attraverso il problem setting possiamo prima di tutto prendere l’incertezza in mano, anche se non è detto che abbiamo le leve per superarla. Ma controllarne gli effetti e prevenirne gli impatti già sarà un successo della nostra gestione proattiva della situazione.
Per aiutarci in questo primo passo e per capire fino in fondo la situazione vale tutto: informarci nelle giuste e qualificate sedi (mai nei corridoi, che avranno solo l’effetto sopra richiamato di amplificazione notturna dei fantasmi), analizzare più dati possibili, utilizzare i network professionali, sociali e personali e soprattutto pretendere da chi ha le informazioni di darcene conto in modo puntuale. Più è seria l’incertezza più è nostro diritto sapere come stanno le cose direttamente dalle fonti titolate e responsabili (che dovrebbero farlo a prescindere e non “on demand”, ma questa è un’altra storia).
 
Nel contesto lavorativo capita che la persona, prima ancora di sapere se vedrà il proprio contratto rinnovato o se le voci sulla liquidazione aziendale sono vere, decida di cercare un altro lavoro andando a sbattere sul primo che gli capita, anche se meno remunerato, precario o non interessante. Se invece prendesse in mano la questione e chiarisse lei stessa con il proprio responsabile la reale situazione per togliersi ogni dubbio? A volte ciò che spaventa è il timore di sentirsi dare una risposta non gradita, ma a stare fermi si può perdere una grande possibilità e rimanere in un limbo di incertezza che genera solo spirali negative.
 
Occorre in questa fase filtrare bene le informazioni e la potente influenza dei social media rispetto alla percezione del rischio. Oggi il web rende disponibili a chiunque una mole sterminata di informazioni non verificate o amplificate dall’emotività del momento, informazioni che occorre vagliare accuratamente prima di basarci sopra riflessioni e conseguenti azioni.
Vale a dire che occorre imparare a percepire il reale rischio, a misurarlo e a ridurlo: coniugando i risultati del problem setting già effettuato con la capacità di discriminare non tanto le fake news -riconoscibili spesso da lontano – quanto gli effetti distorsivi delle emozioni altrui sulla reale portata del rischio. Un esempio: dopo la catastrofe dell’11 settembre 2001 la paura diffusa di usare gli aerei – alimentata in quel periodo, non se lo ricorda nessuno, dai media stessi – ha determinato in un anno oltre 1000 morti in più negli incidenti stradali, che si sono tristemente sommati alle 2974 vittime dell’attentato terroristico alle torri gemelle di New York.
 
L’informazione è essenziale anche perché genera inclusione, che è l’altro aspetto su cui dobbiamo ingaggiarci se non lo fa nessun altro. È un fatto legato alla sopravvivenza istintiva dell’uomo, che ha bisogno di sentirsi partecipe, ascoltato e messo nella possibilità di dare un contributo, specie quando la situazione di incertezza si sta consumando sulla sua pelle. All’esclusione si reagirebbe inevitabilmente limitando le risorse disponibili e aumentando il fatalismo derivante dalla impossibilità di “contare”, e quindi occorre evitarla in tutti i modi attraverso la ricerca del giusto coinvolgimento.
Questa inclusione ci permetterà di non sentirci prigionieri dei “fatti”, abilitando al tempo stesso la nostra confidenza di disporre di una sufficiente autonomia per fare valutazioni e scelte; quindi per avere in qualche modo in controllo la situazione o almeno le sue possibili implicazioni. 
 
Importante come non mai in queste occasioni è poi fissarsi degli obiettivi a medio – lungo termine, per poter avere un progetto, un riferimento che dia sempre un domani alle nostre attenzioni ed evitare di concentrarsi sulle variabili proprie dell’incertezza che stiamo vivendo. È come disegnare un ponte sul vuoto e poi percorrerlo fino all’altra parte, in modo che la direzione sia quella programmata e non si faccia condizionare nel day by day, dai rumors, dagli umori, dai pensieri divergenti e dagli stati d’animo occasionali. Certo il ponte dovrà esser progettato nella direzione giusta, e a questo serve la fase di problem setting prima descritta che ci permette di capire quali delle variabili di periodo possiamo controllare e come fare a gestirle.
Più siamo frastornati dagli echi di questa incertezza, e più essa è per noi importante, più sarà opportuno ridurre la gittata del ponte ed accorciare il termine dell’obiettivo, fino a scadenze di brevissimo che nei periodi di grande turbolenza serviranno comunque a “passare la nottata” e a mantener stabile il nostro cammino. Guardarsi le punte dei piedi non sempre è sbagliato, se serve a vedere bene dove camminiamo e a darci comunque una direzione per il domani.  
Dopo aver esaminato tutte le variabili, con questa progettualità riusciremo a passare presto dalla preoccupazione all’azione, con ciò compiendo un grande passo perché il semplice fatto di essere nel campo della preoccupazione toglie risorse e ci impedisce di agire.
Nell’azione bisogna ovviamente concentrarsi su ciò che è nella nostra sfera di influenza cercando di ampliare tale sfera e di avvicinarci al cuore della situazione di incertezza fonte della nostra preoccupazione, con fatti concreti che possano gestirla se non addirittura modificare il corso degli eventi.
 
Questo non vale sempre però. Esistono dei momenti in cui è meglio stare fermi e riflettere sul da farsi, perché l’ansia di dover uscire dalla fase di incertezza può giocare brutti scherzi e farci agire in modo improprio nella direzione sbagliata. Un po’ come la volpe con la gamba incastrata nella tagliola, che invece di attivare tutti i meccanismi conoscitivi per liberarsi dai ferri usa l’istinto dell’immediato per recidersi la gamba. Si sarà pure liberata, ma inutilmente a caro prezzo.  
Serve dunque sempre capire se la lucidità del momento è sufficiente a farci agire nella direzione corretta. Sennò meglio aspettare un’ora, un giorno, una settimana: sarà tempo ben speso per ritrovarci, a fronte ad un fisiologico smarrimento ingenerato dalle troppe variabili in gioco.  
 
Nel corso del periodo incerto è infine importante coltivare le nostre conoscenze e competenze per aggiornarle ed accrescerle. Questo sia per una questione di autostima – che l’incertezza mina alle fondamenta facendoci talvolta sentire inadeguati di fronte a cose più grandi di noi – sia per farci trovare preparati ad affrontare le sfide dell’inevitabile cambiamento che verrà con maggiori leve per farci valere.    
 
Da ultimo, una bella notizia. E’ proprio quando ci troviamo in un ambito in cui regna l’incertezza che abbiamo la possibilità di imparare qualcosa: sono momenti in cui il metterci alla prova genera in noi nuove abilità e ci fa scoprire risorse che mai immaginavamo di possedere. Il continuo ripresentarsi dell’incertezza, in ogni ambito, sono sempre stati all’origine dello sforzo conoscitivo dell’essere umano, e pertanto l’attuale contesto di evoluzione continua – che certo non ci fa mancare nulla in termini di incertezze – è una occasione unica per sviluppare le nostre migliori capacità e per crescere come persone, professionisti ed organizzazioni.
 
 
 
15 luglio 2019
Filippo Antilici de Martini di Valle Aperta
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