Disinformarsi ai tempi della fake economy

Con l’evoluzione del web chiunque ha ottenuto la possibilità di creare contenuti. L’invenzione di Tim Berners-Lee e Robert Cailliau ha concretizzato una grande rivoluzione introducendo nelle sfera mediatica un mezzo di comunicazione e informazione democratico, se non altro al confronto dei media di massa esistenti che lasciavano il pubblico ad un fruizione passiva dell’informazione. La Rete ha permesso a tutti in modo autonomo di accedere all’informazione e, appunto, nell’ordine della creazione del content, così come si può fruire delle informazioni, si può anche crearle. Il new web (o web 2.0) ha permesso a chiunque di creare contenuti, in una produzione culturale attiva e dal basso, da cui poi derivano le istanze sociali del bottom-up e del crowdsourcing. Il problema è che nella recente evoluzione del web è emerso che non tutti fanno informazione e producono contenuti culturali con successo e soprattutto nel modo giusto. In questo contesto sta prendendo sempre più piede il fenomeno fake-news. Questa facilità di creazione della Rete di oggi alimenta lo sviluppo di fenomeni di disinformazione con strumenti di creazione e diffusione delle notizie false facili da usare, efficaci e a basso costo.

La fake news quindi vengono concepite con claim sensazionali, look e immagini in evidenza accattivanti in modo da stimolare il click e la diffusione. Vengono create per finalità di propaganda politica, pensiamo a Trump e alla sua campagna elettorale; per finalità economiche vedi il clickbait per le revenue pubblicitarie o le news atte a movimentare le quotazioni azionistiche in borsa. Le fake news vengono create anche per scopi ludici, di entertainment e satira. Tutte queste finalità vanno ad alimentare una vera e propria fake economy dove esistono delle vere e proprie campagne fake che vengono commercializzate as-a-service a suon di falsi account, false notizie e false interazioni.

Il fatto che le fake news vengono create quasi nelle totalità nel web, evidenzia come questa pratica disinformativa si alimenti proprio da esso e sia una conseguenza dell’ultima evoluzione della Rete. Dobbiamo anche evidenziare che gli stessi Google e Facebook nelle rispettive SERP (Search Engine Results Page) e newsfeed elencano le notizie con un anteprima che non privilegia le fonti, ma anzi mette in risalto titolo, immagine in evidenza, brevi description, tutti elementi che sono esaltati dalle fake news per attirare click e persuadere le condivisioni compulsive. Le stesse SERP talvolta mettono in cima le news che hanno più interazioni (like e condivisioni), che in un certo senso sono più popolari e apprezzate. Seguendo queste dinamiche le fake news, almeno fino a che non vengono esplicitamente segnalate, traggono il massimo dei benefici e dell’evidenza mediatica in Rete.

In tutto questo scenario, dove appare evidente che l’informazione della Rete viene monopolizzata da Google e Facebook, visto che la maggioranza dell’utenza quando deve informarsi interagisce con Google o scrolla la bacheca di Facebook, se non si adottano delle urgenti contromisure la disinformazione sarà sempre più concreta. Anche se da Mountain View e Menlo Park fanno sapere che ci si sta muovendo per trovare dei sistemi che blocchino le notizie fake, ancora troppe contraddizioni, come quella delle SERP citate poco fa,  appaiono evidenti.

Inoltre se si considerà che ad oggi i due colossi tracciano i comportamenti e memorizzano le preferenze di ogni singolo utente per fornire delle SERP più gradite e personalizzate possibile, emergono elementi ulteriori di devianza nell’accesso all’informazione e alla cultura che non rendono tanto virtuoso il territorio della Rete. Dalla "customizzazione" delle SERP scaturisce infatti il cosidetto fenomeno della "bolla" per il quale all’utente vengono proposte sempre le stesse fonti informative, allineate cone le proprie preferenze, che non fanno che consolidare le stesse abitudini e gli stessi pregiudizi culturali. Tutto ciò da linfa ad un grande effetto “eco/coro” alimentato dalla tendenza ad informarsi sui canali che più sono in linea con le nostre opinioni, l’utente si sentirà dire le stesse cose dalle stesse voci che ha sempre preferito, senza domandarsi da dove provengono e senza avere nessuna possibilità e neanche motivazione a sentire informazioni derivanti da altre fonti e punti di vista. In questa tipologia di web si palesa una passività della fruizione informativa più che una proattività, come quella che invece si millantava con l’esplosione dei prosumatori del web 2.0.

Perciò tutta questa promessa di democrazia dell’informazione ad oggi non sembra essere stata mantenuta, la pluralità di attori nell’accesso e nella produzione di informazione poi non è stata garantita dal mezzo web, soprattutto nelle derive delle evoluzioni recenti. Il web monopolizzato dai colossi Google e Facebook, con la quale la maggior parte degli internauti si interfacciano, non è certamente quello dello scenario che tanto ci immaginavamo in passato, quando pensavamo ad un utente che "surfava" liberamente e attivamente nella vasità della Rete alla ricerca delle fonti informative più disparate.

Forse per uscire da questa passiva permanenze nelle “bolle di vetro culturali”, sommersi da fake news e fenomeni di post-verità, dovremmo andare a riprendere i vecchi media tradizionali (stampa, radio e TV), dovremmo diversificare i luoghi dell’informazione uscendo dai meri sentieri della Rete e provando a reintegrare la dimensione offline. Dovremmo anche impegnarci a cercare altre risorse informative in Rete fuori dai social network, fuori dalle SERP di Google, dove molti di noi oggi si sono fossilizzati, (sottraiamo del tempo, ad esempio, alla permanenza nel nostro newsfeed di Facebook), cercando di costruire una struttura di fonti informative più trasversale ed eterogenea. Proviamo ad estendere il concetto di community anche al mondo fuori dalla Rete e alle interazioni faccia a faccia di un tempo. Proviamo a fare tutto questo, potremmo averne dei benefici  e provare a salvarci e a salvare la nostra informazione e la nostra cultura.

Magari in tutto questo ritorneremo anche a fare un utilizzo più ragionato della Rete, senza farci risucchiare incosapevolmente da essa, dalle sue devianze e dalle sue contraddizioni, ma imparando a conoscerele, ad affrontarle o evitarle.

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