A culpa remotus

L’Intelligenza Artificiale ha creato un discrimine nel campo della responsabilità. Si poteva immaginare già quando è stata portata nei dibattiti europei, in modo più pressante, dal 2015 in poi: i rapporti riguardavano l’analisi delle implicazioni sociali, etiche e legali degli sviluppi dell’IA. Un altro profilo importante che viene toccato è quello del diritto e della procedura penale.
 
La disputa ricade sull’attribuzione della responsabilità di eventuali reati che ci fanno chiedere se sia stata la macchina o il programmatore, e la questione ha tutto il sapore di un cavillo che dividerà pensieri e coscienze, dottrina e giurisprudenza. In altre parole, occorre appurare se la colpa è del programmatore che ha inventato il software che consente alla macchina di agire autonomamente, oppure del soggetto elettronico ché dunque verrebbe considerato colpevole.
 
È evidente che, se c’è dolo da parte del programmatore, il dubbio non sussiste. Ma il caso in cui l’utilizzo della macchina provochi un danno non voluto dall’utilizzatore, quindi quando si tratta di colpa, è sicuramente più arduo identificarlo a livello di responsabilità penale. Può accadere un malfunzionamento, un guasto o danneggiamento del sistema e la macchina non risponde e magari non dà la precedenza in strada, o il drone può provocare danni ai civili.
 
Un robot sicuramente non può essere considerato una persona e l’esistenza del dolo la si imputa al parametro dell’”uomo medio”. Sarebbe opportuno considerare la prevedibilità/evitabilità che segue il diritto penale, dunque far ricadere la responsabilità sul programmatore che avrebbe dovuto prevenire condotte illecite che possono causare danni.
 
Di contro c’è chi sostiene che bisogna considerare colpa quella del programmatore che non può prevedere l’imprevedibilità del robot.
 
Nel 2014 si è verificato un caso di astratta commissione di un reato da parte di un sistema di IA. Un collettivo artistico- in Germania- ha sperimentato il sistema facendogli fare acquisti casuali nel dark web. Ogni settimana gli venivano caricati 100 dollari in Bitcoin da spendere in modo del tutto casuale sul web. Ha comprato un paio di jeans, una bevanda frizzante, scarpe sportive e dieci pillole di ecstasy dategli in una custodia per DVD. Al di là dei sequestri dovuti che sono stati fatti dalle Autorità di pubblica sicurezza, non si è comunque giunti ad una posizione univoca su chi fosse il responsabile penale dell’azione illecita, come quella di comprare stupefacenti. 
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