Dalla formazione tradizionale all’apprendimento continuo: il nuovo paradigma dell’era digitale (prima parte)

C’era una volta il corso di formazione. Quello che durava almeno una settimana, con docenti più o meno qualificati che esponevano in apposite aule, ad una classe organizzata per l’occasione, una serie di nozioni volte ad approfondire tutte le sfaccettature di un certa materia. Così per numerosi anni, con alterne fortune, si sono sviluppate le competenze professionali o manageriali di intere generazioni di lavoratori, chiamati ad assorbire quelle nozioni per tornare al posto di lavoro più preparati.

Non che il corso di formazione “tradizionale” non esista più: ci sono materie e momenti professionali in cui è ancora molto utile per fornire uno zoccolo duro di conoscenze post-scolastiche necessarie a far bene (o meglio) in un determinato mestiere.
Ma negli ultimi anni l’impatto della rivoluzione digitale sulle competenze – in termini di ampiezza dovuta alla globalizzazione e di profondità connessa all’innovazione – ha relegato quel tradizionale modo di apprendere ad un ruolo marginale e di limitata efficacia, costringendo lavoratori ed imprese a guardare altrove.

Per alcuni fondamentali motivi:
Imparare un mestiere e andare avanti fino alla pensione con quelle nozioni è diventato impossibile, perché il mondo del lavoro muta di continuo in relazione alle pressioni che il mercato e le tecnologie gli impongono giorno dopo giorno. Di conseguenza le abilità e gli stimoli adatti ad affrontare tali cambiamenti sono da ricercare oltre la formazione tradizionale, che è per definizione concentrata in apposite (costose) sessioni superate le quali …. se ne parla l’anno prossimo;
L’eccellenza richiesta dal mondo del lavoro difficilmente si può ottenere da tutti i docenti chiamati a formare il personale, su temi sempre più ampi e complessi che richiedono veri specialisti per ciascuna disciplina. Meglio avere un “guru” per un’ora, reso disponibile on line a tutti, che accontentarsi di trovare sulla piazza un docente qualsiasi a tariffe sostenibili;
Le classi che compongono le aule di formazione scontano una eterogeneità di competenze ormai sempre più spinta: così, a diversi livelli di preparazione in ingresso corrispondono, in uscita, altrettanto diversi livelli di efficacia dell’intervento formativo “standard”.
Neanche se si tratta di un argomento nuovo per tutti la cosa funziona ancora, perché la provenienza professionale e l’ecosistema in cui si opera condiziona le dinamiche di aula riflettendo l’asimmetria professionale dei partecipanti sull’inefficacia del corso;
L’unidirezionalità della comunicazione formativa in aula è diventato un limite: per apprendere in fretta e bene servono sempre più fattori quali interazione, confronto, esperienze sul campo, ecc.
• Lo sviluppo delle nuove competenze digitali richiede approcci integrati teorico-pratici – ben diversi dalla solita esercitazione a fine corso – difficilmente ottenibili in aula da un docente spesso esperto solo della teoria, oppure solo della pratica esperienziale condita da qualche concetto.

Tutto questo proprio nel momento in cui il valore delle nuove competenze è diventato strategico per cambiare passo rispetto alla rivoluzione digitale in corso, che sta già spazzando via gran parte dei mestieri tradizionali sostituendoli con nuovi. Un paradosso, specie se si considera che la forza lavoro in Italia richiede come non mai di essere sostenuta nel rinnovare le proprie competenze, invecchiata come è, e rimasta aggrappata al lavoro per necessità o a causa delle modificate regole pensionistiche.

Proprio adesso si è invece creato un vuoto nei sistemi di sviluppo delle competenze, che non hanno saputo fornire alternative immediatamente efficaci ai corsi tradizionali di formazione. Così, la riqualificazione delle persone, e il loro passaggio da mestieri ormai in via di estinzione a nuove attività innovative o comunque più remunerative per l’azienda, avviene senza una vera rete che supporti l’acquisizione delle nuove conoscenze necessarie.

Per uscire da questa impasse occorre un radicale cambio di paradigma che porti a superare il concetto di formazione come “evento” in cui si imparano cose nuove a valere per un certo periodo di tempo. Se infatti il cambiamento è divenuto un motivo pressante e costante della nostra vita, allora anche la formazione deve assumere il carattere di apprendimento continuo.

Quest’ultimo consiste nel processo costante di acquisizione di nuove competenze che si svolge senza soluzione di continuità e coinvolge tutte le forme e gli strumenti di interazione professionale, a partire dal quotidiano. Migliorare le conoscenze e le competenze diventa così un itinerario infinito da percorrere con ogni mezzo utile: chiedendo aiuto o osservando chi è più esperto, sperimentando sul campo le conoscenze teoriche acquisite, partecipando a seminari on line, mettendo in pratica ciò che si è capito dagli altri o dal web, ecc.

La contaminazione continua tra le conoscenze acquisite, quelle studiate e quelle derivanti dalla pratica della vita professionale rende questo apprendimento esperienziale molto efficace: difficile ricordarsi un principio enunciato da un docente, molto meno farlo proprio con applicazioni concrete nell’attività quotidiana, magari dopo aver sbagliato, aver ripassato qualche concetto in rete ed essersi confrontati con chi ne sa più di noi.

Perché ciò accada, però, bisogna avere una mente proattiva, curiosa e stimolata da ogni novità o cambiamento, ma soprattutto la volontà di mettersi in gioco in ogni momento nella consapevolezza che c’è sempre qualcosa da imparare o migliorare.  E siccome questo stato non è sempre nel nostro DNA, emerge prima di tutto l’esigenza di “imparare ad apprendere”, una condizione che permette di rinnovare se stessi e le proprie conoscenze ogni qual volta ce ne sia la necessità grazie all’acquisizione di una sorta di chiave interpretativa che ci fornisce il giusto approccio teorico per affrontare il cambiamento.

Solo così si può dar vita ad un percorso personale di apprendimento che prepara l’individuo a rispondere alle esigenze del vivere sociale, ogni volta ricapitalizzando il proprio sapere, modificandolo o sostituendolo.

[Vai alla seconda parte]

Filippo Antilici de Martini di Valle Aperta

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