Innovare i processi come leva di successo nella gestione operativa- Prima Parte

  1. Perché è diventato urgente ridisegnare i processi  
Capita ormai di frequente che un’azienda arranchi sempre più per essere competitiva a causa di costi di produzione crescenti, tempi lunghi nella lavorazione e prodotti/servizi finali dalla qualità non pienamente soddisfacente in rapporto al prezzo.
Il motivo per cui questo accade è spesso da attribuire a processi lavorativi obsoleti: questi processi, nati in altri tempi per raggiungere un certo risultato produttivo, sono talvolta rimasti immutati ovvero hanno subito svariate manutenzioni incrementali per rincorrere l’evoluzione richiesta dai mercati e soddisfare le aspettative sempre più sfidanti da parte dei clienti.
Un esempio per tutti di come sia cambiata quest’ultima sfida relativa al prodotto/servizio finale viene dalle compagnie di Telecomunicazione che, se fino agli anni ’80 gestivano Reti telefoniche relativamente semplici e utenti capaci di tollerare disservizi anche di numerosi giorni, si sono trovate in breve con una complessità assolutamente diversa delle Reti di nuova generazione e con clienti i quali – avendo messo la loro vita professionale e personale in rete – non sono più disposti ad accettare discontinuità del servizio nemmeno per pochi minuti.
A fronte di questi cambiamenti “esterni” i processi operativi di tutte le aziende – non solo quelle di TLC beninteso – sono stati oggetto di varie stratificazioni volte a rendere sempre più competitivo l’output finale in termini di tempi di consegna, qualità e costi. Si sono così susseguiti sullo stesso processo interventi che hanno modificato alcune fasi, ne hanno aggiunte di nuove a fronte di ulteriori attori da coinvolgere o di attività incrementali da prevedere, hanno rivisto alcuni passaggi per tener conto di importanti normative nel frattempo introdotte come quelle in materia di privacy, sicurezza sul lavoro e antitrust, ecc.
Col risultato di avere ora processi non solo datati ma sempre più complicati, che spesso allungano la filiera produttiva inzeppando le singole fasi di nuove operatività. Facciamo insomma le stesse cose in un modo più articolato e bizantino, cercando di ottenere output finali diversi e migliori. Cosa impossibile per definizione: a rimanere agile e competitivo, infatti, è rimasto solo chi ha lavorato in modo radicale sui propri processi – come fece la Toyota nel dopoguerra con eccellenti risultati – non semplicemente adattandoli di volta in volta per risolvere uno specifico problema.
La citata tendenza “a mettere pezze a colori purché la nave vada” si è affermata anche a causa della visione di breve del nostro management, che in ragione di meccanismi incentivanti finalizzati a premiare le performance economico-produttive di breve periodo – da noi l’anno solare, negli Stati Uniti addirittura i singoli quarter – ha ricercato sovente solo soluzioni immediatamente operative, con ciò generando più interventi di “riparazione” che non di revisione e di ripensamento vero e proprio dell’intero processo lavorativo. Un meccanismo, questo, alimentato e avallato sia dagli azionisti che dal mercato finanziario, attenti ai profitti immediati più che alle prospettive industriali di lungo periodo.
In questo quadro di breve termine, con una congiuntura economica sfavorevole e una straordinaria evoluzione tecnologia e di mercato, si è agito così sui processi “in affanno” anche attraverso un continuo taglio dei relativi costi per mantenere a galla la barca. Ma di taglio di costi si muore se non si agisce in profondità e nel lungo periodo sul tessuto produttivo, perché al sollievo di breve che ne deriva non segue una strutturata diagnosi dei processi lavorativi e di come rivederli per evitare sprechi di prodotto, tempo e produttività. 
E anche ammesso – per quelle poche aziende fortunate – che il problema non sia economico, innovare e rivedere i processi è ora diventata una esigenza di sopravvivenza cui non si sottrae più nessuno, perché la globalizzazione dei mercati ha fatto sì che tutto quello che si produce sarà offerto entro breve tempo anche da qualcun altro a costi inferiori e a qualità superiore.  Non c’è scampo a questa legge, c’è solo da attrezzarsi per innovare costantemente il proprio prodotto/servizio e la propria attività produttiva, a partire appunto dai processi (obsoleti e complessi) con cui lavoriamo. 
 
  1. Come ridisegnare nuovi processi
  2. a) Per impostare correttamente questa profonda revisione occorre anzitutto partire da una domanda mai banale: chi è il cliente o il fruitore finale del nostro servizio, che cosa realmente vuole e che valore, anche economico, è disposto a dare all’output finale del nostro processo. Cominciare da qui significa avere un atteggiamento nuovo che porta dritto al cuore delle cose, a riconoscere ciò che è davvero essenziale sgombrando fin dall’inizio il campo da tutto ciò che è inutile, spesso camuffato dietro a vincoli normativi, organizzativi, di sistema, di produzione. Capovolgere senza costraint l’analisi è il primo passo per separare ciò che realmente è un’attività a valore, da consolidare ed innovare, da ciò che è ausiliare ma comunque necessaria, sino a ciò di cui si può fare a meno. È un primo focus che permette di orientare e prendere le misure su ciascuna attività svolta rileggendola, verificando l’appartenenza ad uno dei tre citati cluster e la sua priorità.
  3. b) Per realizzare questa scomposizione delle attività, così come per proseguire nel ridisegno di attività ed output, è utile partire da una accurata mappatura dei processi reali – non quelli scritti nelle procedure formali, distanti anni luce dalla concreta operatività – che coinvolga tutti coloro che a vario titolo partecipano al processo stesso: descrivendo in breve l’attività, chi la fa, in quanto tempo e con che scopo. Rappresentare questi flussi reali in modo semplice è ancora oggi un’attività poco praticata ma molto importante perché consente di collocare in fila le varie attività mettendo presto a nudo la loro appartenenza ad uno dei tre cluster “a valore/necessario/inutile”.
  4. c) Queste basi servono a mettere sul tavolo gli elementi necessari alla successiva fase di riprogettazione del processo, che in ottica “zero base based” e con pensiero laterale sarà comunque importante che rifletta i seguenti criteri:
  • End to end: tutte le attività che sono contenute nel processo devono essere trasparenti per il cliente, il quale riceve un prodotto/servizio completo sulla base di un input iniziale chiaro che dallo stesso cliente, direttamente o indirettamente, proviene. In altri termini il cliente vede solo il prodotto/servizio finale, nel quale deve trovare la sintesi del processo lavorativo interno all’azienda che lo ha generato. Quello che c’è nel mezzo non può mai essere un problema suo, come tipicamente invece avviene – per intenderci – nei peggiori servizi delle pubbliche amministrazioni (“non è di mia competenza”, “manca un certificato”, “si rivolga prima all’ufficio x e poi a quello y”, ecc.);
  • Le fasi iniziali del processo dovranno esser seguite con particolare cura, poiché qualsiasi disottimizzazione “a monte” si riflette in modo esponenziale “a valle” su tutte le fasi successive distruggendo valore.
  • La progettazione delle nuove soluzioni deve sempre seguire lo schema calcistico per secondo cui ci siano meno passaggi possibili per andare in porta e la palla si muova in verticale nel terreno di gioco;
  • Chiarezza sulle attribuzioni di responsabilità: ciascuna fase del processo deve avere un owner ed uno solo, così come alla fine ci deve essere sempre una persona che risponde dell’intero processo;
  • Ciascuna fase deve iniziare esattamente dove termina la precedente, non un attimo prima né dopo: le sovrapposizioni comportano sprechi di tempo ma soprattutto rilavorazioni, duplicazioni, ridondanze, vuoti, stop and go, ecc;
  • Attenzione ai “colli di bottiglia”: alcune fasi del processo sono snodi critici che rischiano di generare attese, frizioni, eccessi produttivi “fermi”, riflettendosi negativamente su tutta la filiera operativa; la fluidità e la continuità di funzionamento dei volumi lungo l’intero processo deve essere garantita gestendo le singole fasi in modo che ciascuna possa farsi carico dell’output precedente con la dovuta flessibilità operativa e senza criticità di tempo, volumi, qualità.
  • I fornitori sono spesso parte integrante del processo e come tali vanno considerati nella definizione degli step operativi, con un ruolo misurabile almeno “ai morsetti”, cioè rispetto a ciò che ricevono e che restituiscono al processo stesso.
  • Sulla base della mappatura iniziale e delle relative valutazioni sui cluster di importanza delle azioni, è importante agire con determinazione sulla soppressione delle attività e delle fasi inutili, ottenuta sempre interrogandosi sul valore o sulla necessità di fare quella determinata cosa; spesso questo esercizio non è abbastanza considerato e praticato, pur arrivando sempre a generare grandi semplificazioni ed ottimizzazioni;
  • Lo stesso vale per le persone: il coinvolgimento deve riguardare solo coloro che sono indispensabili al migliore output finale per il tempo strettamente necessario al contributo: coinvolgere chi non serve, per “buonismo organizzativo” genera entropia e complessità;
  • Misurare ogni fase con tempi e costi serve a valutarla puntualmente in termini di efficacia ed efficienza operativa, cioè di effort richiesto ed impatto generato dalla singola fase sul risultato finale
  • Tutte le decisioni dovranno essere basate su dati di fatto: analisi vendite, statistiche e analisi di marketing, feedback dai clienti, indicatori macro e micro economici. Mai giungere a compromessi e a mediazioni in questo delicato momento di riprogettazione dei processi.
E attenzione ai particolari. Un esempio: nei primi anni duemila una grande società commerciale aveva messo a punto un processo per la consegna di TV al plasma di grandi dimensioni. Il processo era perfetto, peccato che i TV con il loro imballo non entravano nel bagagliaio delle Fiat Panda in dotazione a coloro che avrebbero dovuto consegnare il prodotto. La cosa può far sorridere, ma succede in molte più occasioni di quelle che si pensa.
 
Una volta ridisegnato infine, il nuovo processo dovrà essere oggetto di miglioramenti continui, anche piccoli a piacere, che l’esperienza dei clienti e delle persone che ci lavorano suggerisce. Più questi interventi di miglioramento saranno tempestivi e capaci di integrarsi immediatamente nel modello di funzionamento, senza creare sovrastrutture e nuove complessità, più saranno in grado di mantenere il processo agile e sempre aggiornato alla costante evoluzione delle tecnologie e del mercato.
 
Per imparare dall’esperienza e agire di conseguenza, un interessante modello è quello della riflessione sistematica*, che in una sorta di review costringe a seguire le seguenti fasi logiche di approfondimento, supportato sempre da fatti e numeri: cosa volevamo ottenere, cosa è successo in realtà, perché è successo, cosa possiamo fare la prossima volta. Attraverso questo percorso si riesce spesso a ragionare in positivo sui miglioramenti, comprendendo il motivo per cui le cose accadono e pianificando come fare a far accadere ciò si vuole. 
 
 
Roma, dicembre 2019 
 
Filippo Antilici de Martini di Valle Aperta

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