Le leve per rendere competitivo il paese

Il cambiamento è necessario, dobbiamo arrenderci ad esso, è vietato porgli resistenza, altrimenti scompariamo dal mercato. La conferma arriva anche da Carlo Pratesi, docente di Marketing e Innovazione a Roma Tre, che nei giorni scorsi ha introdotto l’”Innovation Hub” di Corriere Innovazione all’Unicredit Pavilion di Milano affermando: “il cambiamento è l’unica certezza”. Un movimento che sembra quasi una legge oramai insita nel mercato odierno. Uno degli allarmi di questa rapidissima trasformazione si legge sulla vita media delle aziende che si riduce sempre di più: nel 1958 era di sessant’anni, oggi è di 18 anni. Tutto si consuma, tutto si sostituisce, anche le aziende: il ricircolo/riciclo delle imprese protagoniste del mercato è continuo. Questo processo viene quotidianamente incentivato dalla digitalizzazione massiva, in tutti i campi, più che mai quello economico. Dobbiamo, perciò, affrontare questo continuo divenire burrascoso con consapevolezza strategica e culturale. In primis è necessaria l’analisi dei campi di intervento ideali e la definizione delle leve strategiche utili per l’efficienza e la sostenibilità sia finanziaria che ambientale.

Proprio dall’evento di Milano sono emersi sei ambiti in cui l’Italia dovrebbe/potrebbe far leva per attuare un cambiamento virtuso, che sono: banche, mobilità, economia circolare, industria 4.0, energia e biotecnologie.

Le banche: Le nuove tecnologie stanno trasformando le esperienze e i modus operandi delle banche, il mondo dei servizi, tutto, si sta spostando sempre più sugli smartphone. Il digitale ha ampliato il senso di community e la personalizzazione dei prodotti. Anche gli istituti bancari dovranno omologarsi alla rivoluzione in atto, che parte dal basso e dai bisogni degli utenti. Sta giocando un ruolo chiave la disintermediazione, entrano nuovi soggetti: vedi la licenza bancaria di Facebook.

Il modello di business delle banche deve aprirsi al concetto di piattaforma. Il nuovo banchiere sta diventando  un professionista con competenze finanziarie, abilità informatiche e di analisi dei dati. Il cliente avrà più responsabilità per gestire le proprie operazioni in autonomia, questo ridurrà i costi per le banche.

Mobilità: L’auto da oggetto fisico diviene servizio. Aziende tech, dell’utility, dell’energia e startup innovative stanno entrando nel settore. Il fenomeno di mobilità condivisa, car sharing e car pooling, dimostra un cambiamento culturale. Il concetto è quello di muoversi in autonomia, in condivisione e con soluzioni collettive.

Sul fronte auto e self-drive, per mettere in strada le auto che si guidano da sole è necessario un intervento su strutture e infrastrutture.

La nuova mobilità deve essere sostenbile, orientata alla riduzione totale delle emissioni. Serve collaborazione da parte di tutti e soprattutto il contributo delle PA. Importante condividere i dati, scambiarsi informazioni, unirle, ottimizzando il servizio e rendendolo fruibile a tutto il Paese. Non dobbiamo focalizzarci su un’app per il singolo comune, ma fare sistema attingendo da ciò che è già stato sviluppato dai grandi player.

Economia circolare: l’economia circolare non deve sprecare nulla. Il packaging della sostenibilità prevede il riciclo degli imballaggi. L’imballo diventa primo approccio all’informazione oltre che un feedback imprenditoriale nel rapporto azienda-cliente e di brand reputation.

L’azienda deve uscire da una visione miope e focalizzata solo sull’efficienza imprenditorale ma bensì deve entrare nei paradigmi dell’ecosistema. Si consideri, dunque, l’imballaggio che rispetta al meglio l’impatto ambientale e può essere riutilizzato anche in modo creativo. Componente cruciale per la nuova frontiera del ricycle e dell’ecodesign è la creatività.

Industria 4.0: Quesito culturale ancor prima che tecnologico: bisogna capire che cosa farne di tutti questi sensori che producono dati. Cisco, ha investito 100 milioni di euro per digitalizzare il Paese: “più che una trasformazione è una rivoluzione”. La tecnologia è solo uno strumento, prima deve cambiare il processo. Il come si fanno le cose, una questione di cultura materiale. Le organizzazioni industriali stanno facendo fatica a tenere testa al ritmo della trasformazione digitale.  Va tenuto presente che non è tutto oro ciò che è digitale, necessario tornare a valorizzare i fondamenti di informatica e matematica.

Questi temi investono la formazione del Paese, stiamo assistendo ad una fuga dai percorsi didattici in grado di formare i professionisti, cosa che davvero serve all’industria digitalizzata del futuro. Si devono trovare agenti del cambiamento. Il salto da fare è culturale. Le aziende devono uscire dai soliti schemi, confrontarsi con l’esterno, in un coworking, open innovation e mettersi in discussione.

Energia: Anche il settore energia viene contaminato dalla digital revolution. La digitalizzazione sta cambiando i paradigmi e portando al centro l’utente, che ora può scegliere il suo prodotto energia direttamente su internet. La liberalizzazione del settore energia con la rivoluzione digitale trova un sistema più equilibrato e maggiore trasparenza, ed apre al confronto e alla concorrenza.

Il ruola attivo del cliente si traduce nell’affermazione del prosumer. Grazie all’utlizzo di fonti di energia rinnovabili, si permette al singolo consumatore di fornire a terzi l’energia prodotta in eccesso. La commodity energia sta perdendo valore, va aumentando l’offerta al cliente di un vero e proprio servizio, che si traduce in riduzione dei consumi, maggiore efficienza e comfort con sistemi di domotica e automazione e quant’altro.

Alcuni grandi player dell’oil&gas hanno fatto grandi investimenti sul fronte energie rinnovabili, estremamente rilevante esempio della consapevolezza che l’efficientamento energetico rappresenti lo strumento più valido per l’abbattimento delle emissioni di CO2.

Biotecnologie: Il futuro del biotech porterà a cure sempre più personalizzate e tarate sul singolo individuo. Si possono sfruttare i big data. Si avrà la possibilità di avere cure innovative e mirate.

La personalizzazione offre grandi vantaggi ma corrisponde ad elevati costi, per la cui sostenibilità è essenziale trovare nuove soluzioni. Necessario stabilire regole che permettano di individuare il valore aggiunto di un’innovazione. L’esigenza è di gestire al meglio le già scarse risorse pubbliche. In Italia restano ancora da definire le caratteristiche che permettano di considerare un farmaco innovativo o meno. Non esiste una scala che permetta di valutare il grado di innovazione. Proposte attuabili sono la creazione di collegamenti virtuosi fra l’industria e i centri di ricerca.

Occorrono poi delle governance dell’innovazione e una forte eticità, a prevalere non debbono essere le logiche di mercato, ma logiche di sostegno al paziente. Necessario elaborare soluzioni che permettano di mettere a disposizione il prodotto innovativo al più ampio numero di persone con il perseguimento di un’innovazione che sappia essere il più possibile inclusiva.

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