La presenza di sistemi informativi evoluti e la quantità di dati disponibili, associati alla gestione di molte operazioni di un’organizzazione, permettono di adottare un approccio basato sull’evidenza, o evidence-based, per l’analisi e il miglioramento dei processi.
Nei decenni passati, la raccolta di informazioni all’interno di un’organizzazione era basata sulla somministrazione di interviste, con conseguenti tempi di implementazione e di revisione lunghi, dell’ordine di alcuni anni, uniti a componenti non verificabili. L’ingegnerizzazione dei processi, Business Process Engineering, ha rappresentato un metodo efficace per accedere ad una maggiore consapevolezza dei processi, ma poco idoneo alla dinamicità di un mercato molto competitivo e alla variabilità dei riferimenti normativi. Il ruolo dell’IT, già rilevante nella più agile metodologia del Business Process Management, introdotta negli anni ’90, è strutturalmente imprescindibile nel metodo più recente del Process Mining, caratterizzato da una scala temporale di alcune settimane per l’ottenimento dei primi risultati dai dati acquisiti. Le attuali tecniche di raccolta dei dati e di computing aprono possibilità di mappare e monitorare flussi complessi in senso dinamico, visualizzandoli graficamente in modo intuitivo.
L’applicazione del process mining è strutturata in fasi, dalla pianificazione alla valutazione dei risultati. Gli step più propriamente operativi includono l’acquisizione dei dati dai log dei sistemi informativi e la loro preparazione attraverso pulizia e filtering. L’applicazione degli algoritmi di process mining permette di estrarre una conoscenza dei processi, traducibile in interventi concreti di miglioramento (actionable knowledge). Questa conoscenza si realizza tramite la deduzione, o discovery, di un modello di processo e l’estrazione di informazione statistica, che consentono l’analisi delle performance, la misura della conformità di un processo ad un insieme di regole (normativa o business), l’individuazione di colli di bottiglia, analisi comparative.
Le possibilità di intervento richiedono la valutazione dei risultati e la loro formulazione in un linguaggio non esclusivamente analitico, interpretabile dalla figura del decisore. La rapidità del metodo e l’affidabilità dei dati, rendono possibile, inoltre, una nuova analisi di processo e una stima degli effetti a seguito delle modifiche o riconfigurazioni implementate.
Tra le difficoltà di applicazione più comuni nelle organizzazioni vi è l’eterogeneità, che caratterizza i sistemi informativi, e la frammentazione dei dati su tali supporti non omogenei. I requisiti di informatizzazione sono, dunque, fondamentali per la possibilità e per la facilità di applicazione della metodologia. Il ruolo delle tecnologie dell’informazione interviene nella raccolta delle informazioni sul processo, nella loro sistematizzazione e organizzazione in modelli e nelle possibilità di predizione di pattern. Altrettanto rilevanti sono gli aspetti non legati all’automazione, ma alle capacità dell’uomo, quali le competenze in gioco, che combinano quelle informatiche di data management (proprie di figure quali il data scientist), e quelle di process management, specializzate all’ambito in cui opera una particolare organizzazione, o ancora la disponibilità di un process owner a sottoporre ad analisi le modalità statiche di funzionamento di un’organizzazione, le capacità di individuare le principali necessità e di pianificare coerentemente un’analisi appropriata, e quelle organizzative e decisionali nell’intraprendere azioni di miglioramento.
Il process mining consente di avere una consapevolezza quantitativa e qualitativa dei processi. Le possibilità applicative in ambito pubblico e privato aprono ampi scenari di miglioramento in termini di gestione delle performance e di governance dei processi.
