Primo sciopero del web per la libertà in Rete

I disegni di legge Usa a tutela del copyright sul web, noti con gli acronimi di SOPA – Stop Online Piracy Act e PIPA – Protect IP Act, hanno suscitato intense proteste tra i maggiori player di Internet. Da Wikipedia a Google, da YouTube a Facebook, la protesta si è estesa alle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, attente a preservare la libertà di espressione minacciata dalle misure in discussione, che prevedono il monitoraggio della Rete e l’oscuramento dei contenuti considerati "illeciti" in quanto lesivi del diritto d’autore.

Nel pieno della protesta, il Presidente Obama ha preso posizione nettamente, dichiarando che la Casa Bianca non intende sostenere in alcun modo una eventuale norma che restringa la libertà di espressione, un pilastro della identità americana, o limiti la capacità di espansione del web, in termini di innovazione, creatività, crescita culturale.

I vantaggi che il web ha portato all’economia e alla società sono tali da dover difendere le potenzialità di sviluppo della Rete da qualsiasi forma di censura o restrizione. Anche se Rupert Murdoch in persona ha twittato contro Obama e ha accusato di "puro furto" le aziende del web, attribuire al Dipartimento di Giustizia il potere di bloccare i domini "rei" di violazioni del diritto d’autore sarebbe una inquietante similitudine con quanto avviene in regimi totalitari, quali la Cina o l’Iran.

L’elemento più controverso della legge è l’imposizione al fornitore di servizi on line (provider, portale, motore di ricerca, ecc) della responsabilità su quanto caricato o scambiato dagli utenti. Le aziende del web sarebbero pertanto obbligate ad un monitoraggio continuo del flusso di dati, attività che costituisce un costo aggiuntivo considerevole, proporzionale alla quantità di materiale trattato: si pensi, ad esempio, alle migliaia di video che sono pubblicati su YouTube ogni minuto. Inoltre, si verificherebbe la lesione della privacy per gli utenti, dovendo controllare anche lo "scambio" di comunicazioni tra essi.

Infine, si sottolinea la stravaganza di trasformare le aziende del web in censori che devono valutare l’eventuale presenza di materiale protetto da copyright, al fine di bloccarne la diffusione. Giuridicamente è un principio pericoloso, perché attribuisce ad un soggetto privato (il fornitore di servizi web) il potere di rimuovere un contenuto, potere che deve spettare esclusivamente ad un giudice, dopo avere sentito le parti in un processo. Attualmente, invece, il portale o provider cancella i contenuti che infrangono il diritto d’autore non su propria iniziativa, ma in seguito alla segnalazione da parte degli aventi diritto.

Anche i confini della liceità dei contenuti sono confusi: la dizione di "contenuto lesivo" e la definizione di "sito malevolo" sono talmente indefinite da poter potenzialmente ampliare il controllo anche a quanto viene condiviso tra gli amici in un social network quale Facebook, oppure inviato via mail.

In questa forma, la tutela del diritto d’autore va a incidere sulla libertà di espressione e – più in generale – sulla libertà di impresa; è da prevedere che la norma, così come è strutturata oggi, difficilmente sarà approvata in un Paese in cui la libertà è un concetto chiave del corpus legislativo. Già il successo riportato dal primo "sciopero della Rete" nella storia di Internet, che ha coinvolto i maggiori soggetti quali Wikipedia, Google e numerosi altri, ha incrinato il fronte dei promotori, al punto che il Congresso ne ha sospeso l’approvazione.

Nel contempo, sull’onda della protesta dell’opinione pubblica, anche colossi quali Nintendo e Sony hanno ammorbidito le loro posizioni a favore, per evitare di incorrere nella sanzione più grave decretata dai consumatori: il boicottaggio dei loro prodotti.

In molti invece invitano a riflettere sul rapporto tra pirateria e consumo di prodotti digitali: come ha ricordato il New York Times, a suo tempo l’industria cinematografica insorse contro la diffusione delle videocassette, che invece divennero un’ulteriore fonte di guadagni per le majors di Hollywood. E in Svizzera il Consiglio Federale ha recentemente confermato la liceità del download di materiale audiovisivo a fini di uso personale, in quanto esso non riduce il business del settore, ma contribuisce a fidelizzare i consumatori, che copiano i dischi ma affollano i concerti. La pirateria è infatti un mezzo di fruizione complementare, e non alternativo: osservazione condivisa da molti artisti olandesi, che devono la loro visibilità ai sistemi di download che diffondono le loro opere.

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