Green Pass o Certificazione Verde: una questione (non solo) linguistica

Di norma l’Italia non prende mai provvedimenti per prima in ambito UE, eccezion fatta per il Green Pass o la Certificazione Verde.

Per quanto riguarda tale lasciapassare, il nostro Paese non è allineato con altri Paesi europei quali Germania, Spagna, Portogallo, Austria, Danimarca, etc…

Tuttavia la formula “Certificato Verde” non piaceva molto e c’era il rischio che tutti lo avrebbero copiato! Per questo gli è stato preferito “Green Pass”, che invece aveva quell’appeal, quel non so che di internazionale.

Ma fermiamoci un attimo a ragionare: pensiamo davvero che la Germania, ad esempio, avrebbe nominato il loro lasciapassare Covid “Certificato Verde”, cioè in italiano? La risposta è, naturalmente, negativa.

In Italia, da decenni ormai, amiamo intercalare il nostro parlare con inglesismi, in qualsiasi contesto e occasione, senza criterio alcuno (sarà solo moda o anche complesso di inferiorità?).

Lasciando da parte la questione lessicale, è chiaro a molti che il certificato verde riguarda i lavoratori di ristoranti, trasporti, palestre, cinema, poi i dipendenti della PA.

Tuttavia, il Green Pass non dovrebbe riguardare solo questa platea appena descritta ma anche altre categorie soggettive, stando a quanto espresso dalla cabina di regia voluta dal Presidente del Consiglio Mario Draghi.

Da un lato, abbiamo la popolazione interessata dall’obbligo di Green Pass, vale a dire i lavoratori del comparto Sanità (1.894, 24) e del comparto Istruzione (1.634,00). Dall’altro, vi sono i settori che potrebbero essere coinvolti, e cioè la Pubblica Amministrazione (1.218,50), Ristorazione (1.065,90), Servizi di trasporto aerei, ferroviari e terrestri (622,00), Cultura, Arte, Sport e Intrattenimento (306,40).

L’argomento “Certificazione Verde”, insomma, ha preso una piega non simpatica e si è scivolati nella politica. Ancora oggi in TV vediamo molti “virologi” che (stra)parlano di Covid 19, senza saperne nulla. Una delle tante lezioni del Covid, quindi, non l’abbiamo ancora imparata: sentire ed affidarsi al parere scientifico di medici esperti e non di improvvisatori.

I consigli utili che vengono dispensati ormai da più di un anno e mezzo (indossare la mascherina, mantenerne la distanza di un metro e lavarsi le mani), per la maggioranza degli italiani sono indicazioni che provengono dalle scuole elementari in “Educazione Civica” (materia recentemente reintrodotta negli insegnamenti); altrimenti ci si deve affidare al buon senso!

Passando più al concreto, non si è pensato e parlato seriamente ai nostri mezzi di trasporto pubblici che da sempre sono “carenti”. Anche qui, come del resto per ogni questione rilevante o meno, aspettiamo con ansia indicazioni dall’Europa che, però, non arrivano.

Mario Draghi è persona autorevole ed è servito molto avere una persona di prestigio in Italia, in Europa, nel mondo, in un momento di “alta confusione”. Gli esperti direbbero che la comunicazione erogata non è uguale a quella percepita: questo perché ora sarebbe arrivato il tempo di parlare ai cittadini di politica, sport, economia, innovazione digitale, etc. e non solamente ed esclusivamente della pandemia, come avviene circa due anni quotidianamente (il nostro auspicio e augurio è in questo senso).

 

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